Letra Ubuntu Mono
Folha Vintage A4 tirado da Declaração da Independência dos Estados Unidos da América.
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...ora quando si arriverà a parlare del disprezzo della morte, mi racconterai di Catone." E perché non dovrei raccontarti che in quella famosa ultima notte leggeva un libro di Platone con la spada posata vicino alla testa? Si era procurato in quel momento supremo questi due strumenti: uno che rafforzasse la sua decisione di morire, l'altro che la rendesse possibile. Disposte le sue cose come meglio poteva in quelle circostanze terribili ed estreme, decise di agire in modo che nessuno potesse uccidere Catone, o gli toccasse di salvarlo; e afferrata la spada che fino a quel giorno non aveva mai macchiato di sangue, disse: "Fortuna, non hai ottenuto nulla contrastando i miei tentativi. Fino ad oggi non ho lottato per la mia libertà, ma per quella della patria e non agivo con tanta determinazione per vivere libero, ma per vivere tra uomini liberi: ora, poiché la condizione del genere umano è disperata, possa Catone mettersi al sicuro." Poi si inferse la ferita mortale; quando i medici gliela suturarono, benché avesse perso sangue e forza, ma non coraggio, irato non tanto con Cesare quanto con se stesso, cacciò le mani nude nella ferita e non spirò ma scagliò via la sua anima generosa e sprezzante di ogni potenza.
Seneca, Lettere a Lucilio, III, 24
... Agora quando você chegar a falar sobre o desprezo da morte, você vai me contar sobre catão." e por que eu não deveria te contar que naquela famosa última noite lia um livro de Platão com a espada posada perto da cabeça? Tinha-se conseguido nesse momento supremo estes dois instrumentos: um que reforçasse a sua decisão de morrer, o outro que a tornasse possível. Dispostas as suas coisas como melhor podia nessas circunstâncias terríveis e extremas, decididas a agir para que ninguém pudesse matar catão, ou lhe tocasse de salvá-lo; e agarrou a espada que até esse dia nunca tinha manchado de sangue, disse: " Sorte, você não conseguiu nada contra as minhas tentativas. Até hoje eu não lutei pela minha liberdade, mas pela da pátria e não agia com tanta determinação para viver livre, mas para viver entre homens livres: Agora, pois a condição do gênero humano está desesperada, possa catão se colocar em segurança." Depois se papel a ferida mortal; quando os médicos lhe suturarono, apesar de ter perdido sangue e força, mas não coragem, furioso não tanto com César quanto consigo mesmo, expulsou as mãos nuas na ferida e não expirou mas atirou via a sua alma generosa E desdenhoso de toda potência.
Seneca, letras em lucilio, III, 24
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>> Lettera 22
1 Tu ormai capisci che devi tirarti fuori da queste occupazioni belle e
nocive; ma chiedi come puoi farlo. Certi suggerimenti li si può dare solo
di persona; il medico non può scegliere per lettera l'ora del pranzo o del
bagno: deve tastare il polso. Dice un vecchio proverbio che il gladiatore
decide le sue mosse nell'arena: gliele suggeriscono il volto
dell'avversario, i movimenti delle mani, l'inclinazione stessa del corpo,
che egli studia attentamente. 2 Sulle consuetudini e le regole di condotta
si possono rivolgere raccomandazioni sul piano generale per mezzo di
qualcuno o per iscritto; consigli simili non si dànno solo agli assenti,
ma addirittura ai posteri; ma sul tempo o sulle modalità delle azioni
nessuno può consigliare da lontano: bisogna decidere sul posto. 3 Non
basta essere presenti, bisogna avere gli occhi aperti per scorgere
l'occasione propizia e fugace; devi cercare di scovarla, e se la vedi,
devi coglierla al volo e mettere ogni slancio, ogni tua forza per
liberarti di questi tuoi impegni. E ora ascolta bene il mio giudizio: io
penso che da una vita come questa devi uscire, oppure uscire addirittura
dalla vita. Ma penso anche che non devi farlo in maniera brusca: sciogli
più che spezzare quei nodi in cui ti sei malamente impigliato, e tuttavia,
se non ci sarà altro modo di scioglierli, spezzali. Nessuno è tanto pavido
da preferire di stare sempre in bilico, piuttosto che di cadere una volta
per tutte. 4 Frattanto, per prima cosa, non crearti altri impedimenti:
bastano questi affari in cui ti sei cacciato o, come vorresti far credere,
sei finito. Non devi cercartene altri o non avrai più scusanti: sarà
chiaro che te li sei voluti. Le scuse che in genere si accampano sono
pretestuose: "Non ho potuto fare diversamente. Che sarebbe accaduto se mi
fossi rifiutato? Era necessario." Inseguire il successo non è
indispensabile per nessuno: ma, se anche non vogliamo opporci, possiamo
esercitare una resistenza passiva senza incalzare la fortuna che ci porta
avanti.
5 Non avertela a male se i consigli non te li do io solo, ma ricorro anche
ad altri, certo più saggi di me, ai quali di solito mi rivolgo, quando
devo prendere una decisione. Leggi a questo proposito la lettera che
Epicuro scrisse a Idomeneo: lo prega di fuggire il più in fretta
possibile, prima che intervenga una forza maggiore e gli tolga la libertà
di ritirarsi. 6 Occorre, però agire solo quando si potrà farlo in maniera
adeguata, aggiunge, e al momento opportuno; ma quando si presenta
l'occasione a lungo attesa, bisogna balzare su prontamente. Egli non
ammette che sonnecchi chi pensa alla fuga, e pronostica un esito positivo
anche nelle situazioni più difficili: basta non affrettarsi prima del
tempo, e non ritirarsi al momento dell'azione. 7 A questo punto, credo,
vorrai sentire anche l'opinione degli Stoici. Nessuno può accusarli di
temerità: sono più cauti che coraggiosi. Ti aspetti forse che ti dicano:
"È vergognoso cedere al peso; lotta con l'impegno che hai assunto. L'uomo
che fugge la fatica e non dimostra un coraggio crescente di fronte alle
difficoltà non è forte e valoroso." 8 Ti diranno così, se vale la pena di
perseverare, se non si devono compiere o sopportare azioni indegne di un
uomo onesto; altrimenti egli non si logorerà in fatiche spregevoli e
infamanti, né vorrà mantenere delle occupazioni solo per essere occupato.
L'uomo onesto non agirà neppure come pensi tu, disposto a sopportare,
impelagato nelle ambizioni, gli affanni che ne derivano. Quando vedrà che
la situazione in cui si dibatte è grave, incerta e ambigua, si ritirerà
senza volgere le spalle, retrocedendo a poco a poco fino a mettersi al
sicuro. 9 È facile, caro Lucilio, sbarazzarsi degli impegni, se ne
disprezzi gli utili: sono proprio questi che ci fanno indugiare e ci
trattengono. "E allora? Devo abbandonare tante grandi speranze? Rinunciare
proprio al momento di raccogliere i frutti? Nessuno più al mio fianco, la
mia lettiga senza accompagnatori, l'atrio della mia casa deserto?" A
queste miserie gli uomini rinunciano malvolentieri e mentre le disprezzano
si compiacciono delle gratificazioni che danno. 10 Si lamentano
dell'ambizione come dell'amante: se guardi ai loro veri sentimenti,
capisci che non lo fanno per odio, ma solo per attaccare briga. Esamina a
fondo queste persone che deplorano quanto hanno desiderato e parlano di
fuggire da quei beni per loro indispensabili; vedrai: indugiano
volontariamente in quella situazione che dicono di sopportare a stento e
con dolore. 11 È proprio così, Lucilio: pochi sono costretti alla
schiavitù, la maggior parte si vincola da sé. Ma se hai intenzione di
uscirne e cerchi davvero la libertà e chiedi un rinvio solo per mettere in
atto le tue decisioni serenamente, perché non dovrebbe approvarti tutta la
schiera degli Stoici? Tutti, da Zenone a Crisippo, ti esorteranno alla
moderazione e all'onestà. 12 Ma se tergiversi per vedere quanto puoi
portare con te e con quanto denaro puoi disporre convenientemente il tuo
ritiro, non troverai mai una via d'uscita: nessuno può nuotare carico di
bagagli. Elevati a una vita migliore col favore di dio, ma non quel favore
che egli dimostra dispensando benignamente splendidi mali con una sola
scusante: quei doni che bruciano, che tormentano, sono stati concessi su
richiesta.
13 Già mettevo il sigillo alla lettera: ma devo riaprirla, perché ti
arrivi col consueto piccolo dono e porti con sé una bella massima; me ne
viene in mente una, non so se più vera o più eloquente. "Di chi è?"
chiedi. Di Epicuro; ancora una volta faccio miei bagagli di altri: 14
"Tutti escono dalla vita come se vi fossero entrati da poco." Pensa a chi
vuoi, giovani, vecchi, uomini maturi; li troverai ugualmente timorosi
della morte, ugualmente ignari della vita. Nessuno ha concluso niente;
rimandiamo sempre tutto al futuro. Quello che più mi piace di questa frase
è che rimprovera ai vecchi di essere infantili. 15 "Nessuno," dice, "muore
diverso da come è nato." È falso: moriamo peggiori di quando siamo nati. E
la colpa è nostra, non della natura. Essa ha il diritto di lamentarsi con
noi: "E allora?" dice, "vi ho generato senza desiderî, senza paure, senza
superstizioni, senza perfidie, senza altri mali: uscite dalla vita quali
siete entrati." 16 Chi muore sereno come è nato ha conquistato la
saggezza; e invece, quando il pericolo ci è vicino, abbiamo paura, il
coraggio se ne va, scoloriamo in volto, versiamo lacrime inutili. Che c'è
di più vergognoso dell'essere turbati proprio alle soglie della serenità?
17 Il motivo è che siamo privi di ogni bene e soffriamo di aver sprecato
la vita. Non ce n'è rimasto niente: è passata, scivolata via. Nessuno si
preoccupa di vivere bene, ma di vivere a lungo; eppure tutti possono fare
in modo di vivere bene, nessuno di vivere a lungo. Stammi bene.
>> Lettera 23
1 Pensi che ti scriva quanto è stato benevolo con noi l'inverno, così mite
e breve, quanto sia maligna la primavera, quanto fuori stagione il freddo
e altre sciocchezze tipiche di chi non ha argomenti? Ti scriverò invece,
qualcosa che possa essere utile a entrambi. E che altro se non esortarti
alla saggezza? Chiedi quale ne sia il fondamento? Non compiacersi delle
vanità. 2 Ho detto il fondamento: dovevo dire il culmine. E lo raggiunge
chi sa di che cosa gioire, chi non mette la sua felicità nelle mani
d'altri; è preoccupato e insicuro l'uomo che si lascia sedurre da una
qualche speranza, anche se l'ha a portata di mano, anche se non è
difficile a realizzarsi, anche se non è mai stato deluso nelle sue attese.
3 Impara innanzi tutto a gioire, Lucilio mio. Pensi davvero che ti voglia
privare di molti piaceri perché allontano i beni fortuiti e ritengo che si
debba evitare il dolce conforto della speranza? Anzi, al contrario, non
voglio che ti manchi mai la gioia. Voglio, però che ti nasca in casa: e
nasce, purché scaturisca dall'intimo. Le altre forme di contentezza non
riempiono il cuore; rasserenano il volto, ma sono fugaci, a meno che tu
non giudichi felice uno che ride: l'animo deve essere allegro e fiducioso
ed ergersi al di sopra di tutto. 4 Credimi, la vera gioia è austera.
Oppure ritieni che l'uomo sereno e, come dicono questi sdolcinati, gaio in
volto, disprezzi la morte, apra la sua casa alla povertà, tenga a freno i
piaceri, si prepari a sopportare i dolori? Chi medita su questi pensieri
prova una grande gioia, anche se poco seducente. Questa gioia voglio che
tu la possieda: non verrà mai meno, una volta che tu sappia da dove
derivi. 5 I metalli vili si trovano in superficie: i più preziosi sono
nascosti, invece, nelle viscere della terra, e procurano un compenso
maggiore a chi ha la costanza di scavare. Quei beni di cui si compiace la
massa dànno un piacere inconsistente e superficiale: ogni gioia che viene
dall'esterno manca di fondamenta: questa, di cui ti parlo e alla quale
cerco di condurti, è reale e si spiega più intensamente nell'intimo. 6 Ti
prego, carissimo, fa' la sola cosa che può renderti felice: distruggi e
calpesta questi beni splendidi solo esteriormente, che uno ti promette o
che speri da un altro; aspira al vero bene e godi del tuo. Ma che cosa è
"il tuo"? Te stesso e la parte migliore di te. Anche il corpo, povera
cosa, benché non se ne possa fare a meno, stimalo necessario più che
importante; ci procura piaceri vani, di breve durata, di cui
necessariamente ci pentiamo e che, se non li frena una grande moderazione,
hanno un esito opposto. Questo dico: il piacere sta sul filo, e si muta in
dolore se non ha misura; ma è difficile tenere una giusta misura in quello
che si crede un bene: solo il desiderio, anche intenso, del vero bene è
senza pericoli. 7 Vuoi sapere che cosa sia il vero bene o da dove venga?
Te lo dirò: dalla buona coscienza, dagli onesti propositi, dalle rette
azioni, dal disprezzo del caso, dal tranquillo e costante tenore di vita
di chi segue sempre lo stesso cammino. Quegli uomini che passano da un
proposito all'altro o neppure passano, ma si lasciano portare dal caso,
come possono avere sicurezza e stabilità se sono incerti e instabili? 8
Sono pochi quelli che decidono di sé e delle proprie cose a ragion veduta:
gli altri, come gli oggetti che galleggiano nei fiumi, non avanzano:
vengono trasportati: alcuni sono trattenuti e spostati più lentamente da
una corrente più debole, altri trascinati con maggiore violenza, altri
deposti vicino alla riva da una corrente meno forte, altri gettati in mare
dall'impeto delle acque. Dobbiamo, perciò stabilire che cosa vogliamo e
perseverare nei nostri propositi.
9 È arrivato il momento di pagare il mio debito. Posso riferirti una frase
del tuo Epicuro e adempiere al vincolo di questa lettera: "È penoso
cominciare sempre la vita", oppure, se così il senso è più chiaro: "Vivono
male quelle persone che cominciano sempre a vivere." 10 "Perché?" chiedi;
difatti questa frase necessita di una spiegazione. Perché la loro vita è
sempre incompleta; non può essere pronto alla morte chi proprio allora
comincia a vivere. Dobbiamo fare in modo di aver vissuto abbastanza. Ma
questo non lo fa chi è intento proprio allora a tessere la trama della sua
esistenza. 11 Non pensare che uomini del genere siano pochi: sono quasi
tutti così. Certi, poi, cominciano quando è tempo di smettere. Se ti pare
strano, aggiungerò una cosa che ti sembrerà ancora più strana: certi
uomini finiscono di vivere ancora prima di cominciare. Stammi bene.
>> Lettera 24
1 Mi scrivi di essere preoccupato per l'esito della causa che ti è stata
intentata dal furore di un tuo nemico; e pensi che io ti esorti ad
augurarti il meglio e a trovare conforto in speranze lusinghiere. Che
necessità c'è, infatti, di chiamare i guai, di anticiparseli se, quando
arriveranno, dovrai sopportarli già abbastanza presto; perché rovinarsi il
presente per timore del futuro? Senza dubbio è da pazzi essere infelice
oggi, perché un giorno o l'altro potresti essere infelice. 2 Ma io voglio
condurti alla serenità per un'altra strada: se vuoi liberarti da ogni
preoccupazione, pensa che avverrà senz'altro quello che temi e, qualunque
sia quel male, misuralo con te stesso e poi valuta attentamente la tua
paura: sicuramente ti renderai conto che il male temuto o non è grave o
non durerà a lungo. 3 Non è difficile trovare esempi confortanti: ogni
epoca ne ha. Richiama alla memoria un periodo qualsiasi della storia
nazionale ed estera: ti si presenteranno uomini insigni o per i loro
grandi progressi spirituali o per i nobili slanci. Se subirai una
condanna, ti può capitare qualcosa di più penoso che l'esilio o il
carcere? O qualcosa di più temibile che la tortura o la morte? Esamina
questi mali uno per uno e rievoca gli uomini che li hanno disprezzati: non
dovrai cercarli, ma solo operare una scelta. 4 Rutilio sopportò la sua
condanna come se per lui la cosa più gravosa fosse una cattiva
reputazione. Metello sostenne con coraggio l'esilio, Rutilio addirittura
volentieri. L'uno assicurò allo stato il suo ritorno, l'altro rifiutò il
ritorno concessogli da Silla: un uomo cui allora non si rifiutava niente.
In carcere Socrate continuò a discutere di filosofia e non volle fuggire,
pur essendoci chi gli assicurava la fuga; rimase per liberare gli uomini
dalla paura delle due disgrazie ritenute più dure: la morte e il carcere.
5 Mucio mise la mano sul fuoco. È doloroso essere bruciati: quanto più
doloroso è infliggersi volontariamente questa pena! Hai di fronte un uomo
incolto, che non ha ricevuto nessun insegnamento contro la morte o la
sofferenza, forte solo del suo valore militare e che esige da sé una pena
per un tentativo andato a vuoto. Stette immobile a guardare la sua mano
consumarsi sul braciere dei nemici e non la tolse, la lasciò bruciare fino
all'osso: fu il nemico a portargli via il fuoco. Avrebbe potuto compiere
in quell'accampamento un'impresa più fortunata, ma non più coraggiosa.
Vedi, quanto più pronto sia il valore ad affrontare i pericoli che la
crudeltà ad imporli. Porsenna perdonò più facilmente a Mucio di averlo
voluto uccidere di quanto Mucio perdonò a se stesso di non averlo ucciso.
6 "Queste sono leggende," ribatti, "dette e ripetute in tutte le scuole; e
ora quando si arriverà a parlare del disprezzo della morte, mi racconterai
di Catone." E perché non dovrei raccontarti che in quella famosa ultima
notte leggeva un libro di Platone con la spada posata vicino alla testa?
Si era procurato in quel momento supremo questi due strumenti: uno che
rafforzasse la sua decisione di morire, l'altro che la rendesse possibile.
Disposte le sue cose come meglio poteva in quelle circostanze terribili ed
estreme, decise di agire in modo che nessuno potesse uccidere Catone, o
gli toccasse di salvarlo; 7 e afferrata la spada che fino a quel giorno
non aveva mai macchiato di sangue, disse: "Fortuna, non hai ottenuto nulla
contrastando i miei tentativi. Fino ad oggi non ho lottato per la mia
libertà, ma per quella della patria e non agivo con tanta determinazione
per vivere libero, ma per vivere tra uomini liberi: ora, poiché la
condizione del genere umano è disperata, possa Catone mettersi al sicuro."
8 Poi si inferse la ferita mortale; quando i medici gliela suturarono,
benché avesse perso sangue e forza, ma non coraggio, irato non tanto con
Cesare quanto con se stesso, cacciò le mani nude nella ferita e non spirò
ma scagliò via la sua anima generosa e sprezzante di ogni potenza.
9 Non è mia intenzione raccogliere questi esempi per esercitare la mente,
ma per farti coraggio contro il male ritenuto il peggiore; e riuscirò più
facilmente nel mio proposito mostrandoti che non solo uomini coraggiosi
hanno affrontato con sprezzo il momento della morte, ma che alcuni, vili
in altre circostanze, in questa occasione hanno emulato il coraggio dei
più forti; per esempio il famoso Scipione, suocero di G. Pompeo; egli,
spinto sulle coste africane da venti contrari, vedendo che la sua nave era
caduta in mano nemica, si trafisse con la spada, e a chi chiedeva dove
fosse il generale: "Il generale sta bene", rispose. 10 Questa frase lo ha
reso degno dei suoi antenati e ha perpetuato la fatale gloria degli
Scipioni in Africa. Fu una grande impresa vincere Cartagine, ma ancora più
grande fu vincere la morte. "Il generale sta bene"' doveva forse morire
diversamente un generale e per di più il generale di Catone? 11 Non ti
richiamo alle vicende storiche, e nemmeno voglio raccogliere da tutte le
epoche quegli uomini, e sono numerosissimi, che hanno disprezzato la
morte. Guarda a questi nostri tempi, di cui lamentiamo la rilassatezza e
l'amore dei piaceri: vedrai persone di ogni ceto sociale, di ogni
condizione, di ogni età, i quali hanno troncato i loro mali con la morte.
Credimi, Lucilio, la morte è così poco temibile che proprio per merito suo
non dobbiamo temere nulla. 12 Ascolta, perciò tranquillo le minacce del
tuo nemico; la tua coscienza ti dà fiducia, ma, poiché hanno il loro peso
anche fattori estranei al processo, spera, sì, in una sentenza veramente
giusta, ma preparati anche a una totalmente ingiusta. E innanzi tutto
ricordati di spogliare gli avvenimenti dal tumulto che li accompagna e di
considerarli nella loro essenza: capirai che in essi non c'è niente di
terribile se non la nostra paura. 13 Ciò che vedi succedere ai fanciulli,
succede anche a noi che siamo solo dei fanciulli un po' più grandi: quando
vedono mascherate le persone che amano e con le quali hanno una
consuetudine di giochi e di vita, si spaventano: anche alle cose, come
agli uomini, bisogna togliere la maschera e restituire loro il vero
aspetto. 14 Perché mi mostri spade, fuoco e una turba di carnefici
fremente intorno a te? Togli di mezzo questo apparato sotto il quale ti
nascondi e atterrisci gli sciocchi: tu sei la morte, per te or ora un mio
servo, una mia ancella, hanno mostrato disprezzo. Perché tu di nuovo mi
spieghi davanti con grande messa in scena flagelli e strumenti di tortura?
Perché mi mostri arnesi diversi per tormentare le varie articolazioni e
mille altri macchinari per straziare un uomo brano a brano? Lascia da
parte questi strumenti di terrore; fa' cessare i gemiti, le grida e gli
urli lancinanti strappati con la tortura: tu sei il dolore che il
podagroso disprezza, che l'ammalato di stomaco sopporta in mezzo ai
piaceri del pranzo, che la giovane donna soffre con coraggio durante il
parto. Se ti posso sopportare, sei leggero; se non posso, durerai poco.
15 Rifletti su queste parole che hai spesso udito e spesso pronunciato;
prova ora coi fatti che hai ascoltato, che hai parlato con sincerità;
sovente ci rinfacciano un comportamento davvero vergognoso: discutiamo di
filosofia, ma non la mettiamo in pratica. Come? Che ti minaccia la morte,
l'esilio, il dolore l'hai capito ora per la prima volta? Sei nato con
questo destino; qualunque cosa possa accadere pensiamola come se fosse
certa. 16 Hai sicuramente agito come ti suggerisco, lo so: ora, però ti
esorto a non sommergere il tuo spirito in queste preoccupazioni; si
indebolirà e avrà meno vigore al momento in cui dovrà levarsi a
combattere. Volgilo dai tuoi problemi personali a quelli generali;
ripetigli che hai un corpo mortale e fragile; sofferenze possono
infliggergliene non solo la violenza o la forza dei più potenti; i piaceri
stessi si volgono in tormenti: i pranzi provocano indigestioni,
l'ubriachezza torpore e tremiti nervosi, la lussuria può deformare piedi,
mani e tutte le articolazioni. 17 Diventerò povero: sarò tra i più. Andrò
in esilio: penserò di esser nato là dove mi manderanno. Sarò incatenato: e
allora? Sono forse libero adesso? La natura mi ha vincolato a questo grave
peso: il corpo. Morirò: è come se tu dicessi: non correrò più il rischio
di ammalarmi, di essere messo in catene, di morire.
18 Non sono tanto ottuso da recitare a questo punto la litania epicurea e
ripetere che sono falsi gli spauracchi dell'oltretomba; Issione non gira
legato a una ruota, Sisifo non spinge con le spalle un masso su per una
salita, a nessuno possono ogni giorno ricrescere ed essere divorate le
viscere: non c'è uomo così infantile da temere Cerbero, le tenebre e gli
spettri sotto forma di nudi scheletri. La morte o ci consuma o ci spoglia;
se ci libera dal peso del corpo, rimane la parte migliore di noi; se ci
consuma, di noi non resta niente; beni e mali scompaiono allo stesso modo.
19 Permettimi a questo punto di citare un tuo verso; bada, però: non lo
hai scritto solo per gli altri, ma anche per te. È vergognoso dire una
cosa e pensarne un'altra: ma scrivere una cosa e pensarne un'altra lo è
ancòra di più. Ricordo che una volta hai trattato questo argomento: noi
non precipitiamo all'improvviso nella morte, ma ci avviciniamo a poco a
poco. 20 Moriamo ogni giorno: ogni giorno ci viene tolta una parte della
vita e anche quando ancora cresciamo, la vita decresce. Abbiamo perduto
l'infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Tutto il tempo
trascorso fino a ieri è ormai perduto; anche questo giorno che stiamo
vivendo lo dividiamo con la morte. Come la clessidra non la vuota l'ultima
goccia d'acqua, ma tutta quella defluita prima, così l'ora estrema, che
mette fine alla nostra vita, non provoca da sola la morte, ma da sola la
compie; noi vi giungiamo in quel momento, da tempo, però, vi siamo
diretti. 21 Dopo aver delineato questi concetti con il tuo solito
linguaggio, sempre sostenuto e tuttavia mai più penetrante di quando metti
le parole al servizio della verità, scrivi:
La morte non viene una volta sola: quella che ci porta via è l'ultima
morte.
È meglio che tu legga te stesso invece della mia lettera; capirai che
questa da noi temuta, è la morte estrema, non la sola.
22 So dove guardi: cerchi che cosa ho inserito in questa lettera, che
massima coraggiosa, che insegnamento utile di un qualche autore. Ti
manderò dei pensieri sull'argomento in questione. Epicuro biasima chi
brama la morte non meno di chi la teme e afferma: "È ridicolo correre
verso la morte per stanchezza della vita, quando è il tuo sistema di vita
che ti fa correre incontro alla morte." 23 E ancòra in un altro passo:
"Che c'è di tanto ridicolo quanto cercare la morte, se proprio per paura
della morte ti sei reso la vita impossibile?" Aggiungi anche un'altra
considerazione simile: è tanta la stupidità, anzi la follia degli uomini,
che alcuni sono spinti alla morte dal timore della morte. 24 Medita su uno
qualsiasi di questi pensieri, rafforzerai il tuo animo a sopportare o la
morte o la vita; dobbiamo essere consigliati e incoraggiati sia a non
amare troppo la vita, sia a non odiarla troppo. Anche quando la ragione ci
spinge a farla finita, non prendiamo risoluzioni sconsiderate e avventate.
25 L'uomo forte e saggio non deve fuggire dalla vita, ma uscirne: e
soprattutto eviti uno stato d'animo comune a molti: la smania di morire.
Lucilio mio, come per altre cose, anche per la morte c'è una propensione
inconsulta: spesso assale gli uomini generosi e impavidi, spesso gli
ignavi e i deboli: gli uni sprezzano la vita, gli altri ne sono gravati.
26 In certi si insinua la sazietà di fare e di vedere sempre le stesse
cose, e non l'odio, ma il disgusto della vita; vi scivoliamo spinti dalla
filosofia stessa e ci chiediamo: "Fino a quando le medesime cose? Mi
sveglierò dormirò mangerò avrò fame, avrò freddo, avrò caldo. Niente
finisce, ogni cosa è concatenata in un circolo chiuso; fugge e insegue; la
notte incalza il giorno, il giorno la notte, l'estate finisce
nell'autunno, l'autunno è inseguito dall'inverno, che è chiuso dalla
primavera; tutto passa per ritornare. Non faccio niente di nuovo, non vedo
niente di nuovo e un bel giorno tutto questo viene a nausea." Ci sono
molti che la vita non la giudicano penosa, ma superflua. Stammi bene.
>> Lettera 25
1 Riguardo ai nostri due amici, bisogna seguire una strada diversa:
correggere i vizi dell'uno, stroncare quelli dell'altro. Sarò molto
franco: non gli vorrei bene, se non lo trattassi con asprezza. "Come?"
dici. "Pensi di tenere sotto la tua tutela un pupillo di quarant'anni?
Considera la sua età: è ormai incallito e indocile: non lo puoi cambiare;
solo i materiali duttili si modellano." 2 Non so se ci riuscirò: certo
preferisco l'insuccesso al disimpegno. Non bisogna disperare: anche gli
ammalati cronici possono guarire, se ti opponi alle loro intemperanze e li
costringi a fare e a sopportare molte cose contro la loro volontà. Neppure
nell'altro avrei molta fiducia, se non arrossisse ancòra dei suoi peccati;
bisogna alimentare questo pudore: fino a quando durerà nel suo animo, ci
sarà posto per la speranza. Con questo peccatore di vecchia data, secondo
me, occorre agire con più tatto, perché non arrivi a disperare di se
stesso; 3 e per tentare, nessun momento era migliore di questo, mentre ha
un periodo di quiete, mentre sembra che si sia corretto. Questa
interruzione può ingannare altri, non me: mi aspetto che i vizi ritornino
e con gli interessi. Ora non compaiono, lo so, ma non sono stati eliminati
del tutto. Dedicherò qualche giorno a questo problema e vedrò se si può
fare o no qualcosa.
4 Tu dimostrati forte, come fai, e diminuisci i tuoi bagagli; di ciò che
possediamo niente è necessario. Ritorniamo alla legge di natura; la
ricchezza è a portata di mano. Ciò di cui abbiamo necessità o è gratuito o
costa poco: la natura ha bisogno solo di pane e acqua. Nessuno è troppo
povero per procurarseli e se uno limita qui le sue esigenze, può competere
in felicità con Giove stesso, come dice Epicuro di cui voglio inserire una
frase in questa lettera. 5 "Agisci sempre," dice, "come se Epicuro ti
vedesse." Senza dubbio serve imporsi un custode, avere un uomo cui
guardare, saperlo partecipe dei tuoi pensieri. È molto meglio vivere come
se si fosse sempre sotto gli occhi di un uomo virtuoso; ma se tu agisci
come se ti osservasse uno qualsiasi, mi basta. La solitudine ci spinge ad
ogni genere di mali. 6 Quando avrai fatto progressi tali da avere
soggezione anche di te stesso, potrai congedare il tuo pedagogo: intanto
fatti controllare da un uomo autorevole - sia pure il famoso Catone o
Scipione o Lelio o un altro alla cui presenza anche uomini corrotti
cercherebbero di soffocare i loro vizi - finché ti renderai tale che non
oserai peccare di fronte a te stesso. Quando avrai realizzato questo e
comincerai ad avere rispetto di te, ti permetterò quanto consiglia lo
stesso Epicuro: "Ritirati in te soprattutto quando sei costretto a stare
tra la folla." 7 Bisogna che tu diventi diverso dalla massa, per poterti
ritirare in te senza pericolo. Guarda uno per uno quelli che ti
circondano: non c'è nessuno per cui non sarebbe preferibile stare col
primo venuto piuttosto che con se stesso. "Ritirati in te soprattutto
quando sei costretto a stare tra la folla", se sei un uomo onesto,
tranquillo, temperante. Altrimenti devi sfuggire da te e andare tra la
gente: nello stato in cui versi sei più vicino a un uomo disonesto. Stammi
bene.
>> Lettera 26
1 Poco fa ti dicevo di essere in cospetto della vecchiaia: ora temo di
essermela già lasciata alle spalle. Ai miei anni e a questo mio fisico
conviene ormai un altro termine; vecchiaia indica un'età stanca, ma non
priva di forze; mettimi, invece, nel numero degli uomini decrepiti, vicini
alla fine. 2 Posso, tuttavia, dirti che sono grato a me stesso: i danni
dell'età, benché li avverta nel corpo, non li sento nello spirito. Solo i
vizi e gli strumenti dei vizi sono invecchiati: lo spirito è forte e
gioisce di non aver molto in comune con il corpo: ha ormai deposto gran
parte del suo peso. Esulta e discute con me sulla vecchiaia: dice che
questo è il suo fiore. Crediamogli: si goda il suo bene. 3 Mi esorta a
pensare e a individuare quanto di questa tranquillità e moderazione di
costumi io debba alla saggezza, quanto all'età, e ad esaminare con
attenzione quello che non posso e quello che non voglio fare, e io mi
compiaccio di considerare quello che non posso fare, come se non lo
volessi: quale motivo di lagnarsi, quale danno c'è, se sono venute a
mancare cose destinate a finire? 4 "Ma è un danno gravissimo," dici,
"consumarsi, deperire o, meglio, sfarsi. Non siamo colpiti e abbattuti
all'improvviso: ci logoriamo a poco a poco e ogni giorno ci toglie un po'
delle nostre forze." C'è una conclusione migliore che scivolare verso la
propria fine perché il fisico si dissolve naturalmente? Non che un attacco
e un decesso improvviso siano un male, ma è dolce questo modo di essere
portati via a poco a poco. Come se si avvicinasse la prova e giungesse il
giorno fatale che dovrà giudicare di tutti i miei anni, mi osservo e dico
a me stesso: 5 "Fino a oggi non è niente quello che ho dimostrato a fatti
o a parole; l'animo ha dato pegni fallaci e di poco conto, avviluppati in
mille ornamenti esteriori: alla morte mi affiderò per giudicare i miei
progressi. Con coraggio mi preparo a quel giorno in cui, deposto ogni
artificio e ogni inganno, giudicherò di me stesso: se sono forte a parole
o nell'intimo; se furono simulazione e farsa le parole sprezzanti
scagliate contro la sorte. 6 Lascia da parte i giudizi degli uomini: sono
sempre incerti e ambigui. Lascia da parte gli studi fatti durante tutta la
vita: ti giudicherà la morte. La vera forza d'animo non la mettono in luce
le dispute filosofiche e le conversazioni letterarie, le parole raccolte
dall'insegnamento dei saggi e i discorsi eruditi: anche gli uomini più
vili sono capaci di parole coraggiose. Quanto hai fatto sarà evidente solo
in punto di morte. Accetto questa condizione, non temo il giudizio." 7
Così dico a me stesso, ma è come se parlassi anche con te. Tu sei più
giovane: che importa? Gli anni non contano. Non puoi sapere dove ti
attenda la morte; perciò aspettala dovunque.
8 Volevo ormai finire e già mi accingevo a concludere, ma devo preparare
il denaro e darlo come viatico a questa lettera. Non ti dico da chi
prenderò il prestito: tu sai a quale forziere ricorro. Aspetta ancòra un
poco ed effettuerò il pagamento con i miei averi; intanto mi farà un
prestito Epicuro; scrive: "Pensa alla morte." Oppure, se così il senso è
più chiaro: "È cosa egregia imparare a morire." 9 Forse ritieni superfluo
imparare una cosa di cui dobbiamo servirci una volta sola. Proprio per
questo motivo si deve pensare alla morte: bisogna sempre imparare ciò che
non possiamo esser certi di conoscere bene. 10 "Pensa alla morte": chi
dice queste parole ci esorta a riflettere sulla libertà. Chi ha imparato a
morire, ha disimparato a essere schiavo: è superiore a ogni umana potenza
o, almeno, ne è al di fuori. Che gli importa del carcere, delle guardie,
delle catene? Ha sempre la porta aperta. Una sola è la catena che ci
vincola, l'amore per la vita: non dobbiamo soffocarlo, ma ridurlo, così
che, se le circostanze lo richiedono, niente ci trattenga, né ci impedisca
di essere pronti a compiere subito un passo che presto o tardi bisogna
compiere. Stammi bene.
>> Lettera 27
1 "Tu mi dai consigli?" potresti dire. "Li hai già dati a te stesso, ti
sei corretto? Perciò ti dedichi a correggere gli altri?" Non sono così
impudente da volere assumermi, io malato, la cura del prossimo; ma come se
mi trovassi nel medesimo ospedale, ti parlo della comune malattia e divido
con te le medicine. Perciò ascoltami come se parlassi con me stesso. Ti
faccio entrare nel segreto della mia anima e davanti a te mi giudico. 2
Grido a me stesso: "Conta i tuoi anni e ti vergognerai di avere i medesimi
desideri di quando eri fanciullo, di cercare le medesime cose. Si avvicina
il giorno della morte, garantisciti che i tuoi vizi muoiano prima di te.
Allontana questi torbidi piaceri, che devi scontare a caro prezzo: non
nuocciono solo quelli futuri, ma anche quelli passati. Anche se i delitti
non sono scoperti, rimane sempre il rimorso, così il pentimento che nasce
dai piaceri disonesti non finisce con loro. Non sono reali, né costanti;
se pure non danneggiano, svaniscono. 3 Cerca piuttosto un bene duraturo;
ma è duraturo solo quel bene che l'animo trova in sé. Soltanto la virtù
procura una gioia stabile e sicura; anche se c'è un ostacolo, fa' come le
nubi, che si frappongono, ma non vincono mai la luce del giorno." 4 Quando
si potrà raggiungere questa gioia? Finora non siamo rimasti inoperosi,
dobbiamo, però affrettarci. Resta ancora molto lavoro ed è necessario che
vigili, che fatichi proprio tu, se vuoi portarlo a termine; in altri tipi
di studio si può ricevere un aiuto, qui non sono ammesse deleghe. 5 Ai
miei tempi viveva Calvisio Sabino, un riccone, che aveva patrimonio e
indole da liberto; non ho mai visto un uomo agiato in modo più indecente.
Costui aveva una memoria così debole che dimenticava il nome di Ulisse, di
Achille, o di Priamo: eppure li conosceva bene quanto noi conosciamo i
nostri maestri. Nessun vecchio schiavo nomenclatore, il quale anziché
riferire i nomi esatti, li inventi di sana pianta, ha mai salutato i
cittadini confondendoli tanto quanto lui confondeva i Troiani e gli Achei.
6 E tuttavia voleva apparire erudito. Escogitò perciò questo espediente:
spese una grande somma per comprare dei servi: uno che ricordasse a
memoria Omero, un altro Esiodo; assegnò inoltre uno schiavo a ciascuno dei
nove lirici. Non c'è da stupirsi che avesse speso tanto: non avendone
trovati già istruiti, pagò per farli preparare. Dopo essersi procurato
questa servitù, cominciò a molestare i suoi ospiti. Teneva ai suoi piedi
questi schiavi e a essi di volta in volta chiedeva i versi da recitare, e
tuttavia spesso si interrompeva a metà di una parola. 7 Satellio Quadrato,
uno sfruttatore di ricchi insensati, e di conseguenza adulatore e,
caratteristica legata a queste due, schernitore, gli consigliò di assumere
dei letterati per raccattare gli avanzi della mensa. Quando Sabino disse
che ogni servo gli costava centomila sesterzi, ribatté: "A minor prezzo
avresti comprato altrettante casse di libri." Egli, tuttavia, riteneva di
saperne più di qualunque altro in casa sua. 8 Questo stesso Satellio
cominciò a incitarlo a praticare la lotta, benché fosse malato, pallido e
gracile. E quando Sabino gli rispose: "E in che modo potrei farlo? A
stento mi reggo in piedi." "Non dire così, ti prego," gli disse, "non vedi
quanti servi forti hai?" La saggezza non si prende in prestito, e nemmeno
si compra; e ritengo che se anche fosse in vendita, non si troverebbero
compratori: la stupidità, invece, si compra quotidianamente.
9 Ma prendi ormai quanto ti devo e arrivederci. "La povertà regolata
secondo le leggi della natura è ricchezza." Lo dice spesso Epicuro ora in
un modo, ora nell'altro, ma non si ripete mai troppo quello che non si
impara mai abbastanza; a qualcuno bisogna indicare i rimedi, ad altri
bisogna inculcarli. Stammi bene.
>> Lettera 28
1 Pensi che sia capitato solo a te e ti stupisci come di un fatto
inaudito, perché, pur avendo viaggiato a lungo e in tanti posti diversi,
non ti sei scrollato di dosso la tua tristezza e il tuo malessere
spirituale? Devi cambiare animo, non cielo. Attraversa pure il mare,
lascia, come dice il nostro Virgilio, che
Scompaiano terre e città, all'orizzonte,
i tuoi vizi ti seguiranno dovunque andrai. 2 Socrate, a un tale che si
lagnava per la stessa ragione, disse: "Perché ti stupisci se viaggiare non
ti serve? Porti in giro te stesso. Ti perseguitano i medesimi motivi che
ti hanno fatto fuggire". A che possono giovare nuove terre? A che la
conoscenza di città e posti diversi? Tutto questo agitarsi è vano. Chiedi
perché questa fuga non ti sia di aiuto? Tu fuggi con te stesso. Deponi il
peso dell'anima: prima di allora non ti andrà a genio nessun luogo. 3
Pensa che la tua condizione è simile a quella che il nostro Virgilio
rappresenta nella profetessa esaltata, spronata e invasata da uno spirito
non suo:
La profetessa si dimena tentando di scacciare il dio dalla sua anima.
Vai di qua e di là per scuoterti di dosso il peso che ti opprime e che
diventa più gravoso proprio per questa tua agitazione; così in una nave il
carico stabile grava di meno, mentre, se è sballottato qua e là in maniera
diseguale, fa affondare il fianco su cui pesa. Qualunque cosa fai, si
risolve in un danno per te e gli stessi continui spostamenti ti nuocciono:
tu muovi un ammalato. 4 Ma quando avrai rimosso questo male, ogni
cambiamento di sede diventerà piacevole. Anche se verrai esiliato in terre
lontanissime o sarai trasferito in un qualsiasi paese barbaro, quel posto,
comunque sia, ti sembrerà ospitale. Conta più lo stato d'animo che il
luogo dove arrivi, perciò l'animo non va reso schiavo di nessun posto.
Bisogna vivere con questa convinzione: non sono nato per un solo
cantuccio, la mia patria è il mondo intero. 5 Se ti fosse chiaro questo
concetto, non ti stupiresti che non ti serva a niente cambiare
continuamente regione, perché sei stanco delle precedenti; ti sarebbe
piaciuta già la prima, se le considerassi tutte come tue. Ora non viaggi,
vai errando e ti lasci condurre e ti sposti da un luogo a un altro, mentre
quello che cerchi, vivere serenamente, si trova dovunque. 6 C'è forse un
posto più turbolento del foro? Anche qui, se è necessario, si può vivere
tranquilli. Ma se potessimo decidere di noi stessi, fuggirei lontano anche
dalla vista e dalla vicinanza del foro; come i luoghi insalubri minano
anche una salute di ferro, così per uno spirito sano, ma non ancora
perfetto e vigoroso, ci sono posti malsani. 7 Non sono d'accordo con
quelli che si spingono in mezzo alle onde e prediligono una vita agitata e
lottano ogni giorno animosamente con mille difficoltà. Il saggio dovrà
sopportarle, non andarsele a cercare, e preferire la tranquillità alla
lotta; non giova a molto essersi liberati dai propri vizi per poi
combattere con quelli degli altri. 8 "Trenta tiranni," ribatti, "fecero
pressione su Socrate, ma non poterono fiaccarne lo spirito." Che importa
quanti siano i padroni? La schiavitù è una sola; se uno la disprezza, per
quanti padroni abbia, è libero.
9 È tempo di finire, purché prima io paghi il pedaggio. "Aver coscienza
delle proprie colpe è il primo passo verso la salvezza." A me pare che
Epicuro abbia espresso un concetto molto giusto: se uno non sa di
sbagliare, non vuole correggersi; devi coglierti in fallo, prima di
correggerti. 10 Certi si gloriano dei propri vizi: e tu pensi che cerchi
un rimedio chi considera virtù i suoi vizi? Perciò per quanto puoi,
accùsati, fa' un esame di coscienza; assumi prima il ruolo di accusatore,
poi di giudice, da ultimo quello di intercessore; e talvolta punisciti.
Stammi bene.
>> Lettera 29
1 Mi chiedi notizie del nostro Marcellino e vuoi sapere che fa. Viene di
rado a trovarmi, unicamente perché teme di sentirsi dire la verità; ma non
corre questo pericolo; la verità bisogna dirla solo a chi è disposto ad
ascoltarla. Perciò in genere ci si chiede se fosse giusto il comportamento
di Diogene e degli altri Cinici che usavano una libertà indiscriminata e
ammonivano chiunque capitasse a tiro. Che giova rimproverare le persone
sorde o mute per natura o per malattia? 2 "Ma perché", ribatti, "dovrei
risparmiare le parole? Non costano niente. Non posso sapere se gioverò
all'individuo che ammonisco: so, però che se ammonisco molti potrò essere
utile a qualcuno. Bisogna sempre tendere la mano: chi fa molti tentativi,
prima o poi riesce a qualcosa." 3 Non credo, Lucilio mio, che un grande
uomo debba agire così: la sua autorità diminuisce e non ha sufficiente
peso su coloro che potrebbe correggere se fosse meno svilita. L'arciere
non deve colpire il bersaglio di quando in quando, ma deve sbagliare solo
di quando in quando; non è un'arte quella che arriva allo scopo per caso.
La saggezza è un'arte: miri al sicuro, scelga chi può fare progressi, si
allontani da quelli su cui non ha speranze, e tuttavia non rinunci sùbito
e, anche in casi disperati, tenti rimedi estremi.
4 Ancora non dispero del nostro Marcellino; ancora si può salvare, purché
gli si tenda sùbito la mano. C'è, però il pericolo che trascini con sé chi
gliela porge; ha una grande forza d'ingegno, ma già rivolta al male.
Correrò tuttavia, questo pericolo e mi arrischierò a mostrargli i suoi
vizi. 5 Farà come al solito: ricorrerà a quelle facezie che riescono a far
ridere anche chi sta piangendo e scherzerà dapprima su di sé, poi su di
noi; anticiperà tutto quello che intendo dirgli. Frugherà nelle nostre
scuole e rinfaccerà ai filosofi le elargizioni ricevute, le amanti, la
ghiottoneria. 6 Mi mostrerà che uno ha commesso adulterio, un altro si è
dato al bere, un terzo è a corte; mi segnalerà l'arguto filosofo Aristone,
che dissertava di filosofia in lettiga - aveva scelto questo momento per
svolgere il suo lavoro. Scauro, interrogato sulla sua setta di
appartenenza, rispose: "Certo non è un peripatetico"; e Giulio Grecino,
uomo insigne, cui fu chiesto cosa ne pensasse, disse: "Non posso
risponderti perché non so come se la cavi a piedi", quasi gli avessero
domandato un parere su un gladiatore che combatte dal carro. 7 Marcellino
mi getterà in faccia questi ciarlatani che sarebbero stati più onesti se
quella filosofia di cui fanno mercato l'avessero tralasciata. Ho, però
deciso di sopportare le sue ingiurie: mi faccia pure ridere, io forse lo
farò piangere, oppure, se continuerà a ridere, ne sarò contento, come si
può esserlo di un male: almeno gli è capitato un genere di pazzia ilare.
Ma questa ilarità non può durare a lungo: facci caso, vedrai le medesime
persone ridere sfrenatamente e sfrenatamente andare in collera in breve
tempo. 8 È mia intenzione avvicinarlo e mostrargli quanto varrebbe di più
se valesse meno agli occhi della massa. Anche se non riuscirò a estirpare
i suoi vizi, vi metterò un freno; non scompariranno del tutto, ma almeno
cesseranno a intervalli; e forse potranno addirittura scomparire, se gli
intervalli diventeranno un'abitudine. Non è un risultato da disdegnare:
per gli ammalati gravi una pausa della malattia è quasi una guarigione.
9 Mentre io mi preparo a curarmi di lui, frattanto, tu che puoi, che sai
da che cosa ti sei tirato fuori e quindi sei in grado di capire dove
potrai arrivare, regola le tue abitudini, innalza lo spirito, stai saldo
contro ciò che temi; non metterti a considerare quanti ti fanno paura. Se
uno temesse la folla in un punto dove può passare solo una persona per
volta non sembrerebbe stupido? Ugualmente non sono molti a poterti dare la
morte, anche se molti te la minacciano. È una legge di natura: una sola
persona ti ha dato la vita, una sola te la toglierà.
10 Se avessi un po' di rispetto, mi avresti condonato l'ultima rata; ma
neppure io, arrivato alla fine dei miei debiti, voglio comportarmi da
avaro e ti darò per forza quanto ti devo. "Non ho mai voluto piacere al
popolo: il popolo non apprezza le cose che io so, e io non so le cose che
apprezza il popolo." 11 "Chi ha scritto questa frase?" chiedi, come se non
sapessi a chi do l'ordine di pagare. Epicuro; ma questo stesso concetto te
lo esprimeranno a gran voce tutti insieme i filosofi di ogni scuola,
peripatetici, accademici, stoici, cinici: se uno ama la virtù, come può
piacere al popolo? Il favore popolare si ottiene con mezzi loschi. Devi
renderti simile a loro: non ti apprezzeranno, se non ti riconosceranno
uguale. Ma l'opinione che hai di te stesso è molto più importante
dell'opinione altrui; solo con sistemi disonesti ci si può accattivare il
favore dei disonesti. 12 Che cosa, dunque, ti potrà insegnare quella
filosofia tanto lodata e preferibile a tutte le arti e a tutti i beni?
Naturalmente a voler piacere a te stesso più che al popolo, a valutare i
giudizi, ma non in base al numero, a vivere senza paura degli dèi e degli
uomini, a vincere i mali o a mettervi un limite. Ma se vedrò che sei
famoso per i giudizi favorevoli del popolo, se al tuo ingresso
risuoneranno grida e applausi, onori da pantomimi, se in tutta la città
faranno le tue lodi donne e ragazzi, perché non dovrei avere compassione
di te? So qual è la strada che porta a questo genere di favore. Stammi
bene.
>> Lettera 22
1 Tu ormai capisci che devi tirarti fuori da queste occupazioni belle e
nocive; ma chiedi come puoi farlo. Certi suggerimenti li si può dare solo
di persona; il medico non può scegliere per lettera l'ora del pranzo o del
bagno: deve tastare il polso. Dice un vecchio proverbio che il gladiatore
decide le sue mosse nell'arena: gliele suggeriscono il volto
dell'avversario, i movimenti delle mani, l'inclinazione stessa del corpo,
che egli studia attentamente. 2 Sulle consuetudini e le regole di condotta
si possono rivolgere raccomandazioni sul piano generale per mezzo di
qualcuno o per iscritto; consigli simili non si dànno solo agli assenti,
ma addirittura ai posteri; ma sul tempo o sulle modalità delle azioni
nessuno può consigliare da lontano: bisogna decidere sul posto. 3 Non
basta essere presenti, bisogna avere gli occhi aperti per scorgere
l'occasione propizia e fugace; devi cercare di scovarla, e se la vedi,
devi coglierla al volo e mettere ogni slancio, ogni tua forza per
liberarti di questi tuoi impegni. E ora ascolta bene il mio giudizio: io
penso che da una vita come questa devi uscire, oppure uscire addirittura
dalla vita. Ma penso anche che non devi farlo in maniera brusca: sciogli
più che spezzare quei nodi in cui ti sei malamente impigliato, e tuttavia,
se non ci sarà altro modo di scioglierli, spezzali. Nessuno è tanto pavido
da preferire di stare sempre in bilico, piuttosto che di cadere una volta
per tutte. 4 Frattanto, per prima cosa, non crearti altri impedimenti:
bastano questi affari in cui ti sei cacciato o, come vorresti far credere,
sei finito. Non devi cercartene altri o non avrai più scusanti: sarà
chiaro che te li sei voluti. Le scuse che in genere si accampano sono
pretestuose: "Non ho potuto fare diversamente. Che sarebbe accaduto se mi
fossi rifiutato? Era necessario." Inseguire il successo non è
indispensabile per nessuno: ma, se anche non vogliamo opporci, possiamo
esercitare una resistenza passiva senza incalzare la fortuna che ci porta
avanti.
5 Non avertela a male se i consigli non te li do io solo, ma ricorro anche
ad altri, certo più saggi di me, ai quali di solito mi rivolgo, quando
devo prendere una decisione. Leggi a questo proposito la lettera che
Epicuro scrisse a Idomeneo: lo prega di fuggire il più in fretta
possibile, prima che intervenga una forza maggiore e gli tolga la libertà
di ritirarsi. 6 Occorre, però agire solo quando si potrà farlo in maniera
adeguata, aggiunge, e al momento opportuno; ma quando si presenta
l'occasione a lungo attesa, bisogna balzare su prontamente. Egli non
ammette che sonnecchi chi pensa alla fuga, e pronostica un esito positivo
anche nelle situazioni più difficili: basta non affrettarsi prima del
tempo, e non ritirarsi al momento dell'azione. 7 A questo punto, credo,
vorrai sentire anche l'opinione degli Stoici. Nessuno può accusarli di
temerità: sono più cauti che coraggiosi. Ti aspetti forse che ti dicano:
"È vergognoso cedere al peso; lotta con l'impegno che hai assunto. L'uomo
che fugge la fatica e non dimostra un coraggio crescente di fronte alle
difficoltà non è forte e valoroso." 8 Ti diranno così, se vale la pena di
perseverare, se non si devono compiere o sopportare azioni indegne di un
uomo onesto; altrimenti egli non si logorerà in fatiche spregevoli e
infamanti, né vorrà mantenere delle occupazioni solo per essere occupato.
L'uomo onesto non agirà neppure come pensi tu, disposto a sopportare,
impelagato nelle ambizioni, gli affanni che ne derivano. Quando vedrà che
la situazione in cui si dibatte è grave, incerta e ambigua, si ritirerà
senza volgere le spalle, retrocedendo a poco a poco fino a mettersi al
sicuro. 9 È facile, caro Lucilio, sbarazzarsi degli impegni, se ne
disprezzi gli utili: sono proprio questi che ci fanno indugiare e ci
trattengono. "E allora? Devo abbandonare tante grandi speranze? Rinunciare
proprio al momento di raccogliere i frutti? Nessuno più al mio fianco, la
mia lettiga senza accompagnatori, l'atrio della mia casa deserto?" A
queste miserie gli uomini rinunciano malvolentieri e mentre le disprezzano
si compiacciono delle gratificazioni che danno. 10 Si lamentano
dell'ambizione come dell'amante: se guardi ai loro veri sentimenti,
capisci che non lo fanno per odio, ma solo per attaccare briga. Esamina a
fondo queste persone che deplorano quanto hanno desiderato e parlano di
fuggire da quei beni per loro indispensabili; vedrai: indugiano
volontariamente in quella situazione che dicono di sopportare a stento e
con dolore. 11 È proprio così, Lucilio: pochi sono costretti alla
schiavitù, la maggior parte si vincola da sé. Ma se hai intenzione di
uscirne e cerchi davvero la libertà e chiedi un rinvio solo per mettere in
atto le tue decisioni serenamente, perché non dovrebbe approvarti tutta la
schiera degli Stoici? Tutti, da Zenone a Crisippo, ti esorteranno alla
moderazione e all'onestà. 12 Ma se tergiversi per vedere quanto puoi
portare con te e con quanto denaro puoi disporre convenientemente il tuo
ritiro, non troverai mai una via d'uscita: nessuno può nuotare carico di
bagagli. Elevati a una vita migliore col favore di dio, ma non quel favore
che egli dimostra dispensando benignamente splendidi mali con una sola
scusante: quei doni che bruciano, che tormentano, sono stati concessi su
richiesta.
13 Già mettevo il sigillo alla lettera: ma devo riaprirla, perché ti
arrivi col consueto piccolo dono e porti con sé una bella massima; me ne
viene in mente una, non so se più vera o più eloquente. "Di chi è?"
chiedi. Di Epicuro; ancora una volta faccio miei bagagli di altri: 14
"Tutti escono dalla vita come se vi fossero entrati da poco." Pensa a chi
vuoi, giovani, vecchi, uomini maturi; li troverai ugualmente timorosi
della morte, ugualmente ignari della vita. Nessuno ha concluso niente;
rimandiamo sempre tutto al futuro. Quello che più mi piace di questa frase
è che rimprovera ai vecchi di essere infantili. 15 "Nessuno," dice, "muore
diverso da come è nato." È falso: moriamo peggiori di quando siamo nati. E
la colpa è nostra, non della natura. Essa ha il diritto di lamentarsi con
noi: "E allora?" dice, "vi ho generato senza desiderî, senza paure, senza
superstizioni, senza perfidie, senza altri mali: uscite dalla vita quali
siete entrati." 16 Chi muore sereno come è nato ha conquistato la
saggezza; e invece, quando il pericolo ci è vicino, abbiamo paura, il
coraggio se ne va, scoloriamo in volto, versiamo lacrime inutili. Che c'è
di più vergognoso dell'essere turbati proprio alle soglie della serenità?
17 Il motivo è che siamo privi di ogni bene e soffriamo di aver sprecato
la vita. Non ce n'è rimasto niente: è passata, scivolata via. Nessuno si
preoccupa di vivere bene, ma di vivere a lungo; eppure tutti possono fare
in modo di vivere bene, nessuno di vivere a lungo. Stammi bene.
>> Lettera 23
1 Pensi che ti scriva quanto è stato benevolo con noi l'inverno, così mite
e breve, quanto sia maligna la primavera, quanto fuori stagione il freddo
e altre sciocchezze tipiche di chi non ha argomenti? Ti scriverò invece,
qualcosa che possa essere utile a entrambi. E che altro se non esortarti
alla saggezza? Chiedi quale ne sia il fondamento? Non compiacersi delle
vanità. 2 Ho detto il fondamento: dovevo dire il culmine. E lo raggiunge
chi sa di che cosa gioire, chi non mette la sua felicità nelle mani
d'altri; è preoccupato e insicuro l'uomo che si lascia sedurre da una
qualche speranza, anche se l'ha a portata di mano, anche se non è
difficile a realizzarsi, anche se non è mai stato deluso nelle sue attese.
3 Impara innanzi tutto a gioire, Lucilio mio. Pensi davvero che ti voglia
privare di molti piaceri perché allontano i beni fortuiti e ritengo che si
debba evitare il dolce conforto della speranza? Anzi, al contrario, non
voglio che ti manchi mai la gioia. Voglio, però che ti nasca in casa: e
nasce, purché scaturisca dall'intimo. Le altre forme di contentezza non
riempiono il cuore; rasserenano il volto, ma sono fugaci, a meno che tu
non giudichi felice uno che ride: l'animo deve essere allegro e fiducioso
ed ergersi al di sopra di tutto. 4 Credimi, la vera gioia è austera.
Oppure ritieni che l'uomo sereno e, come dicono questi sdolcinati, gaio in
volto, disprezzi la morte, apra la sua casa alla povertà, tenga a freno i
piaceri, si prepari a sopportare i dolori? Chi medita su questi pensieri
prova una grande gioia, anche se poco seducente. Questa gioia voglio che
tu la possieda: non verrà mai meno, una volta che tu sappia da dove
derivi. 5 I metalli vili si trovano in superficie: i più preziosi sono
nascosti, invece, nelle viscere della terra, e procurano un compenso
maggiore a chi ha la costanza di scavare. Quei beni di cui si compiace la
massa dànno un piacere inconsistente e superficiale: ogni gioia che viene
dall'esterno manca di fondamenta: questa, di cui ti parlo e alla quale
cerco di condurti, è reale e si spiega più intensamente nell'intimo. 6 Ti
prego, carissimo, fa' la sola cosa che può renderti felice: distruggi e
calpesta questi beni splendidi solo esteriormente, che uno ti promette o
che speri da un altro; aspira al vero bene e godi del tuo. Ma che cosa è
"il tuo"? Te stesso e la parte migliore di te. Anche il corpo, povera
cosa, benché non se ne possa fare a meno, stimalo necessario più che
importante; ci procura piaceri vani, di breve durata, di cui
necessariamente ci pentiamo e che, se non li frena una grande moderazione,
hanno un esito opposto. Questo dico: il piacere sta sul filo, e si muta in
dolore se non ha misura; ma è difficile tenere una giusta misura in quello
che si crede un bene: solo il desiderio, anche intenso, del vero bene è
senza pericoli. 7 Vuoi sapere che cosa sia il vero bene o da dove venga?
Te lo dirò: dalla buona coscienza, dagli onesti propositi, dalle rette
azioni, dal disprezzo del caso, dal tranquillo e costante tenore di vita
di chi segue sempre lo stesso cammino. Quegli uomini che passano da un
proposito all'altro o neppure passano, ma si lasciano portare dal caso,
come possono avere sicurezza e stabilità se sono incerti e instabili? 8
Sono pochi quelli che decidono di sé e delle proprie cose a ragion veduta:
gli altri, come gli oggetti che galleggiano nei fiumi, non avanzano:
vengono trasportati: alcuni sono trattenuti e spostati più lentamente da
una corrente più debole, altri trascinati con maggiore violenza, altri
deposti vicino alla riva da una corrente meno forte, altri gettati in mare
dall'impeto delle acque. Dobbiamo, perciò stabilire che cosa vogliamo e
perseverare nei nostri propositi.
9 È arrivato il momento di pagare il mio debito. Posso riferirti una frase
del tuo Epicuro e adempiere al vincolo di questa lettera: "È penoso
cominciare sempre la vita", oppure, se così il senso è più chiaro: "Vivono
male quelle persone che cominciano sempre a vivere." 10 "Perché?" chiedi;
difatti questa frase necessita di una spiegazione. Perché la loro vita è
sempre incompleta; non può essere pronto alla morte chi proprio allora
comincia a vivere. Dobbiamo fare in modo di aver vissuto abbastanza. Ma
questo non lo fa chi è intento proprio allora a tessere la trama della sua
esistenza. 11 Non pensare che uomini del genere siano pochi: sono quasi
tutti così. Certi, poi, cominciano quando è tempo di smettere. Se ti pare
strano, aggiungerò una cosa che ti sembrerà ancora più strana: certi
uomini finiscono di vivere ancora prima di cominciare. Stammi bene.
>> Lettera 24
1 Mi scrivi di essere preoccupato per l'esito della causa che ti è stata
intentata dal furore di un tuo nemico; e pensi che io ti esorti ad
augurarti il meglio e a trovare conforto in speranze lusinghiere. Che
necessità c'è, infatti, di chiamare i guai, di anticiparseli se, quando
arriveranno, dovrai sopportarli già abbastanza presto; perché rovinarsi il
presente per timore del futuro? Senza dubbio è da pazzi essere infelice
oggi, perché un giorno o l'altro potresti essere infelice. 2 Ma io voglio
condurti alla serenità per un'altra strada: se vuoi liberarti da ogni
preoccupazione, pensa che avverrà senz'altro quello che temi e, qualunque
sia quel male, misuralo con te stesso e poi valuta attentamente la tua
paura: sicuramente ti renderai conto che il male temuto o non è grave o
non durerà a lungo. 3 Non è difficile trovare esempi confortanti: ogni
epoca ne ha. Richiama alla memoria un periodo qualsiasi della storia
nazionale ed estera: ti si presenteranno uomini insigni o per i loro
grandi progressi spirituali o per i nobili slanci. Se subirai una
condanna, ti può capitare qualcosa di più penoso che l'esilio o il
carcere? O qualcosa di più temibile che la tortura o la morte? Esamina
questi mali uno per uno e rievoca gli uomini che li hanno disprezzati: non
dovrai cercarli, ma solo operare una scelta. 4 Rutilio sopportò la sua
condanna come se per lui la cosa più gravosa fosse una cattiva
reputazione. Metello sostenne con coraggio l'esilio, Rutilio addirittura
volentieri. L'uno assicurò allo stato il suo ritorno, l'altro rifiutò il
ritorno concessogli da Silla: un uomo cui allora non si rifiutava niente.
In carcere Socrate continuò a discutere di filosofia e non volle fuggire,
pur essendoci chi gli assicurava la fuga; rimase per liberare gli uomini
dalla paura delle due disgrazie ritenute più dure: la morte e il carcere.
5 Mucio mise la mano sul fuoco. È doloroso essere bruciati: quanto più
doloroso è infliggersi volontariamente questa pena! Hai di fronte un uomo
incolto, che non ha ricevuto nessun insegnamento contro la morte o la
sofferenza, forte solo del suo valore militare e che esige da sé una pena
per un tentativo andato a vuoto. Stette immobile a guardare la sua mano
consumarsi sul braciere dei nemici e non la tolse, la lasciò bruciare fino
all'osso: fu il nemico a portargli via il fuoco. Avrebbe potuto compiere
in quell'accampamento un'impresa più fortunata, ma non più coraggiosa.
Vedi, quanto più pronto sia il valore ad affrontare i pericoli che la
crudeltà ad imporli. Porsenna perdonò più facilmente a Mucio di averlo
voluto uccidere di quanto Mucio perdonò a se stesso di non averlo ucciso.
6 "Queste sono leggende," ribatti, "dette e ripetute in tutte le scuole; e
ora quando si arriverà a parlare del disprezzo della morte, mi racconterai
di Catone." E perché non dovrei raccontarti che in quella famosa ultima
notte leggeva un libro di Platone con la spada posata vicino alla testa?
Si era procurato in quel momento supremo questi due strumenti: uno che
rafforzasse la sua decisione di morire, l'altro che la rendesse possibile.
Disposte le sue cose come meglio poteva in quelle circostanze terribili ed
estreme, decise di agire in modo che nessuno potesse uccidere Catone, o
gli toccasse di salvarlo; 7 e afferrata la spada che fino a quel giorno
non aveva mai macchiato di sangue, disse: "Fortuna, non hai ottenuto nulla
contrastando i miei tentativi. Fino ad oggi non ho lottato per la mia
libertà, ma per quella della patria e non agivo con tanta determinazione
per vivere libero, ma per vivere tra uomini liberi: ora, poiché la
condizione del genere umano è disperata, possa Catone mettersi al sicuro."
8 Poi si inferse la ferita mortale; quando i medici gliela suturarono,
benché avesse perso sangue e forza, ma non coraggio, irato non tanto con
Cesare quanto con se stesso, cacciò le mani nude nella ferita e non spirò
ma scagliò via la sua anima generosa e sprezzante di ogni potenza.
9 Non è mia intenzione raccogliere questi esempi per esercitare la mente,
ma per farti coraggio contro il male ritenuto il peggiore; e riuscirò più
facilmente nel mio proposito mostrandoti che non solo uomini coraggiosi
hanno affrontato con sprezzo il momento della morte, ma che alcuni, vili
in altre circostanze, in questa occasione hanno emulato il coraggio dei
più forti; per esempio il famoso Scipione, suocero di G. Pompeo; egli,
spinto sulle coste africane da venti contrari, vedendo che la sua nave era
caduta in mano nemica, si trafisse con la spada, e a chi chiedeva dove
fosse il generale: "Il generale sta bene", rispose. 10 Questa frase lo ha
reso degno dei suoi antenati e ha perpetuato la fatale gloria degli
Scipioni in Africa. Fu una grande impresa vincere Cartagine, ma ancora più
grande fu vincere la morte. "Il generale sta bene"' doveva forse morire
diversamente un generale e per di più il generale di Catone? 11 Non ti
richiamo alle vicende storiche, e nemmeno voglio raccogliere da tutte le
epoche quegli uomini, e sono numerosissimi, che hanno disprezzato la
morte. Guarda a questi nostri tempi, di cui lamentiamo la rilassatezza e
l'amore dei piaceri: vedrai persone di ogni ceto sociale, di ogni
condizione, di ogni età, i quali hanno troncato i loro mali con la morte.
Credimi, Lucilio, la morte è così poco temibile che proprio per merito suo
non dobbiamo temere nulla. 12 Ascolta, perciò tranquillo le minacce del
tuo nemico; la tua coscienza ti dà fiducia, ma, poiché hanno il loro peso
anche fattori estranei al processo, spera, sì, in una sentenza veramente
giusta, ma preparati anche a una totalmente ingiusta. E innanzi tutto
ricordati di spogliare gli avvenimenti dal tumulto che li accompagna e di
considerarli nella loro essenza: capirai che in essi non c'è niente di
terribile se non la nostra paura. 13 Ciò che vedi succedere ai fanciulli,
succede anche a noi che siamo solo dei fanciulli un po' più grandi: quando
vedono mascherate le persone che amano e con le quali hanno una
consuetudine di giochi e di vita, si spaventano: anche alle cose, come
agli uomini, bisogna togliere la maschera e restituire loro il vero
aspetto. 14 Perché mi mostri spade, fuoco e una turba di carnefici
fremente intorno a te? Togli di mezzo questo apparato sotto il quale ti
nascondi e atterrisci gli sciocchi: tu sei la morte, per te or ora un mio
servo, una mia ancella, hanno mostrato disprezzo. Perché tu di nuovo mi
spieghi davanti con grande messa in scena flagelli e strumenti di tortura?
Perché mi mostri arnesi diversi per tormentare le varie articolazioni e
mille altri macchinari per straziare un uomo brano a brano? Lascia da
parte questi strumenti di terrore; fa' cessare i gemiti, le grida e gli
urli lancinanti strappati con la tortura: tu sei il dolore che il
podagroso disprezza, che l'ammalato di stomaco sopporta in mezzo ai
piaceri del pranzo, che la giovane donna soffre con coraggio durante il
parto. Se ti posso sopportare, sei leggero; se non posso, durerai poco.
15 Rifletti su queste parole che hai spesso udito e spesso pronunciato;
prova ora coi fatti che hai ascoltato, che hai parlato con sincerità;
sovente ci rinfacciano un comportamento davvero vergognoso: discutiamo di
filosofia, ma non la mettiamo in pratica. Come? Che ti minaccia la morte,
l'esilio, il dolore l'hai capito ora per la prima volta? Sei nato con
questo destino; qualunque cosa possa accadere pensiamola come se fosse
certa. 16 Hai sicuramente agito come ti suggerisco, lo so: ora, però ti
esorto a non sommergere il tuo spirito in queste preoccupazioni; si
indebolirà e avrà meno vigore al momento in cui dovrà levarsi a
combattere. Volgilo dai tuoi problemi personali a quelli generali;
ripetigli che hai un corpo mortale e fragile; sofferenze possono
infliggergliene non solo la violenza o la forza dei più potenti; i piaceri
stessi si volgono in tormenti: i pranzi provocano indigestioni,
l'ubriachezza torpore e tremiti nervosi, la lussuria può deformare piedi,
mani e tutte le articolazioni. 17 Diventerò povero: sarò tra i più. Andrò
in esilio: penserò di esser nato là dove mi manderanno. Sarò incatenato: e
allora? Sono forse libero adesso? La natura mi ha vincolato a questo grave
peso: il corpo. Morirò: è come se tu dicessi: non correrò più il rischio
di ammalarmi, di essere messo in catene, di morire.
18 Non sono tanto ottuso da recitare a questo punto la litania epicurea e
ripetere che sono falsi gli spauracchi dell'oltretomba; Issione non gira
legato a una ruota, Sisifo non spinge con le spalle un masso su per una
salita, a nessuno possono ogni giorno ricrescere ed essere divorate le
viscere: non c'è uomo così infantile da temere Cerbero, le tenebre e gli
spettri sotto forma di nudi scheletri. La morte o ci consuma o ci spoglia;
se ci libera dal peso del corpo, rimane la parte migliore di noi; se ci
consuma, di noi non resta niente; beni e mali scompaiono allo stesso modo.
19 Permettimi a questo punto di citare un tuo verso; bada, però: non lo
hai scritto solo per gli altri, ma anche per te. È vergognoso dire una
cosa e pensarne un'altra: ma scrivere una cosa e pensarne un'altra lo è
ancòra di più. Ricordo che una volta hai trattato questo argomento: noi
non precipitiamo all'improvviso nella morte, ma ci avviciniamo a poco a
poco. 20 Moriamo ogni giorno: ogni giorno ci viene tolta una parte della
vita e anche quando ancora cresciamo, la vita decresce. Abbiamo perduto
l'infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Tutto il tempo
trascorso fino a ieri è ormai perduto; anche questo giorno che stiamo
vivendo lo dividiamo con la morte. Come la clessidra non la vuota l'ultima
goccia d'acqua, ma tutta quella defluita prima, così l'ora estrema, che
mette fine alla nostra vita, non provoca da sola la morte, ma da sola la
compie; noi vi giungiamo in quel momento, da tempo, però, vi siamo
diretti. 21 Dopo aver delineato questi concetti con il tuo solito
linguaggio, sempre sostenuto e tuttavia mai più penetrante di quando metti
le parole al servizio della verità, scrivi:
La morte non viene una volta sola: quella che ci porta via è l'ultima
morte.
È meglio che tu legga te stesso invece della mia lettera; capirai che
questa da noi temuta, è la morte estrema, non la sola.
22 So dove guardi: cerchi che cosa ho inserito in questa lettera, che
massima coraggiosa, che insegnamento utile di un qualche autore. Ti
manderò dei pensieri sull'argomento in questione. Epicuro biasima chi
brama la morte non meno di chi la teme e afferma: "È ridicolo correre
verso la morte per stanchezza della vita, quando è il tuo sistema di vita
che ti fa correre incontro alla morte." 23 E ancòra in un altro passo:
"Che c'è di tanto ridicolo quanto cercare la morte, se proprio per paura
della morte ti sei reso la vita impossibile?" Aggiungi anche un'altra
considerazione simile: è tanta la stupidità, anzi la follia degli uomini,
che alcuni sono spinti alla morte dal timore della morte. 24 Medita su uno
qualsiasi di questi pensieri, rafforzerai il tuo animo a sopportare o la
morte o la vita; dobbiamo essere consigliati e incoraggiati sia a non
amare troppo la vita, sia a non odiarla troppo. Anche quando la ragione ci
spinge a farla finita, non prendiamo risoluzioni sconsiderate e avventate.
25 L'uomo forte e saggio non deve fuggire dalla vita, ma uscirne: e
soprattutto eviti uno stato d'animo comune a molti: la smania di morire.
Lucilio mio, come per altre cose, anche per la morte c'è una propensione
inconsulta: spesso assale gli uomini generosi e impavidi, spesso gli
ignavi e i deboli: gli uni sprezzano la vita, gli altri ne sono gravati.
26 In certi si insinua la sazietà di fare e di vedere sempre le stesse
cose, e non l'odio, ma il disgusto della vita; vi scivoliamo spinti dalla
filosofia stessa e ci chiediamo: "Fino a quando le medesime cose? Mi
sveglierò dormirò mangerò avrò fame, avrò freddo, avrò caldo. Niente
finisce, ogni cosa è concatenata in un circolo chiuso; fugge e insegue; la
notte incalza il giorno, il giorno la notte, l'estate finisce
nell'autunno, l'autunno è inseguito dall'inverno, che è chiuso dalla
primavera; tutto passa per ritornare. Non faccio niente di nuovo, non vedo
niente di nuovo e un bel giorno tutto questo viene a nausea." Ci sono
molti che la vita non la giudicano penosa, ma superflua. Stammi bene.
>> Lettera 25
1 Riguardo ai nostri due amici, bisogna seguire una strada diversa:
correggere i vizi dell'uno, stroncare quelli dell'altro. Sarò molto
franco: non gli vorrei bene, se non lo trattassi con asprezza. "Come?"
dici. "Pensi di tenere sotto la tua tutela un pupillo di quarant'anni?
Considera la sua età: è ormai incallito e indocile: non lo puoi cambiare;
solo i materiali duttili si modellano." 2 Non so se ci riuscirò: certo
preferisco l'insuccesso al disimpegno. Non bisogna disperare: anche gli
ammalati cronici possono guarire, se ti opponi alle loro intemperanze e li
costringi a fare e a sopportare molte cose contro la loro volontà. Neppure
nell'altro avrei molta fiducia, se non arrossisse ancòra dei suoi peccati;
bisogna alimentare questo pudore: fino a quando durerà nel suo animo, ci
sarà posto per la speranza. Con questo peccatore di vecchia data, secondo
me, occorre agire con più tatto, perché non arrivi a disperare di se
stesso; 3 e per tentare, nessun momento era migliore di questo, mentre ha
un periodo di quiete, mentre sembra che si sia corretto. Questa
interruzione può ingannare altri, non me: mi aspetto che i vizi ritornino
e con gli interessi. Ora non compaiono, lo so, ma non sono stati eliminati
del tutto. Dedicherò qualche giorno a questo problema e vedrò se si può
fare o no qualcosa.
4 Tu dimostrati forte, come fai, e diminuisci i tuoi bagagli; di ciò che
possediamo niente è necessario. Ritorniamo alla legge di natura; la
ricchezza è a portata di mano. Ciò di cui abbiamo necessità o è gratuito o
costa poco: la natura ha bisogno solo di pane e acqua. Nessuno è troppo
povero per procurarseli e se uno limita qui le sue esigenze, può competere
in felicità con Giove stesso, come dice Epicuro di cui voglio inserire una
frase in questa lettera. 5 "Agisci sempre," dice, "come se Epicuro ti
vedesse." Senza dubbio serve imporsi un custode, avere un uomo cui
guardare, saperlo partecipe dei tuoi pensieri. È molto meglio vivere come
se si fosse sempre sotto gli occhi di un uomo virtuoso; ma se tu agisci
come se ti osservasse uno qualsiasi, mi basta. La solitudine ci spinge ad
ogni genere di mali. 6 Quando avrai fatto progressi tali da avere
soggezione anche di te stesso, potrai congedare il tuo pedagogo: intanto
fatti controllare da un uomo autorevole - sia pure il famoso Catone o
Scipione o Lelio o un altro alla cui presenza anche uomini corrotti
cercherebbero di soffocare i loro vizi - finché ti renderai tale che non
oserai peccare di fronte a te stesso. Quando avrai realizzato questo e
comincerai ad avere rispetto di te, ti permetterò quanto consiglia lo
stesso Epicuro: "Ritirati in te soprattutto quando sei costretto a stare
tra la folla." 7 Bisogna che tu diventi diverso dalla massa, per poterti
ritirare in te senza pericolo. Guarda uno per uno quelli che ti
circondano: non c'è nessuno per cui non sarebbe preferibile stare col
primo venuto piuttosto che con se stesso. "Ritirati in te soprattutto
quando sei costretto a stare tra la folla", se sei un uomo onesto,
tranquillo, temperante. Altrimenti devi sfuggire da te e andare tra la
gente: nello stato in cui versi sei più vicino a un uomo disonesto. Stammi
bene.
>> Lettera 26
1 Poco fa ti dicevo di essere in cospetto della vecchiaia: ora temo di
essermela già lasciata alle spalle. Ai miei anni e a questo mio fisico
conviene ormai un altro termine; vecchiaia indica un'età stanca, ma non
priva di forze; mettimi, invece, nel numero degli uomini decrepiti, vicini
alla fine. 2 Posso, tuttavia, dirti che sono grato a me stesso: i danni
dell'età, benché li avverta nel corpo, non li sento nello spirito. Solo i
vizi e gli strumenti dei vizi sono invecchiati: lo spirito è forte e
gioisce di non aver molto in comune con il corpo: ha ormai deposto gran
parte del suo peso. Esulta e discute con me sulla vecchiaia: dice che
questo è il suo fiore. Crediamogli: si goda il suo bene. 3 Mi esorta a
pensare e a individuare quanto di questa tranquillità e moderazione di
costumi io debba alla saggezza, quanto all'età, e ad esaminare con
attenzione quello che non posso e quello che non voglio fare, e io mi
compiaccio di considerare quello che non posso fare, come se non lo
volessi: quale motivo di lagnarsi, quale danno c'è, se sono venute a
mancare cose destinate a finire? 4 "Ma è un danno gravissimo," dici,
"consumarsi, deperire o, meglio, sfarsi. Non siamo colpiti e abbattuti
all'improvviso: ci logoriamo a poco a poco e ogni giorno ci toglie un po'
delle nostre forze." C'è una conclusione migliore che scivolare verso la
propria fine perché il fisico si dissolve naturalmente? Non che un attacco
e un decesso improvviso siano un male, ma è dolce questo modo di essere
portati via a poco a poco. Come se si avvicinasse la prova e giungesse il
giorno fatale che dovrà giudicare di tutti i miei anni, mi osservo e dico
a me stesso: 5 "Fino a oggi non è niente quello che ho dimostrato a fatti
o a parole; l'animo ha dato pegni fallaci e di poco conto, avviluppati in
mille ornamenti esteriori: alla morte mi affiderò per giudicare i miei
progressi. Con coraggio mi preparo a quel giorno in cui, deposto ogni
artificio e ogni inganno, giudicherò di me stesso: se sono forte a parole
o nell'intimo; se furono simulazione e farsa le parole sprezzanti
scagliate contro la sorte. 6 Lascia da parte i giudizi degli uomini: sono
sempre incerti e ambigui. Lascia da parte gli studi fatti durante tutta la
vita: ti giudicherà la morte. La vera forza d'animo non la mettono in luce
le dispute filosofiche e le conversazioni letterarie, le parole raccolte
dall'insegnamento dei saggi e i discorsi eruditi: anche gli uomini più
vili sono capaci di parole coraggiose. Quanto hai fatto sarà evidente solo
in punto di morte. Accetto questa condizione, non temo il giudizio." 7
Così dico a me stesso, ma è come se parlassi anche con te. Tu sei più
giovane: che importa? Gli anni non contano. Non puoi sapere dove ti
attenda la morte; perciò aspettala dovunque.
8 Volevo ormai finire e già mi accingevo a concludere, ma devo preparare
il denaro e darlo come viatico a questa lettera. Non ti dico da chi
prenderò il prestito: tu sai a quale forziere ricorro. Aspetta ancòra un
poco ed effettuerò il pagamento con i miei averi; intanto mi farà un
prestito Epicuro; scrive: "Pensa alla morte." Oppure, se così il senso è
più chiaro: "È cosa egregia imparare a morire." 9 Forse ritieni superfluo
imparare una cosa di cui dobbiamo servirci una volta sola. Proprio per
questo motivo si deve pensare alla morte: bisogna sempre imparare ciò che
non possiamo esser certi di conoscere bene. 10 "Pensa alla morte": chi
dice queste parole ci esorta a riflettere sulla libertà. Chi ha imparato a
morire, ha disimparato a essere schiavo: è superiore a ogni umana potenza
o, almeno, ne è al di fuori. Che gli importa del carcere, delle guardie,
delle catene? Ha sempre la porta aperta. Una sola è la catena che ci
vincola, l'amore per la vita: non dobbiamo soffocarlo, ma ridurlo, così
che, se le circostanze lo richiedono, niente ci trattenga, né ci impedisca
di essere pronti a compiere subito un passo che presto o tardi bisogna
compiere. Stammi bene.
>> Lettera 27
1 "Tu mi dai consigli?" potresti dire. "Li hai già dati a te stesso, ti
sei corretto? Perciò ti dedichi a correggere gli altri?" Non sono così
impudente da volere assumermi, io malato, la cura del prossimo; ma come se
mi trovassi nel medesimo ospedale, ti parlo della comune malattia e divido
con te le medicine. Perciò ascoltami come se parlassi con me stesso. Ti
faccio entrare nel segreto della mia anima e davanti a te mi giudico. 2
Grido a me stesso: "Conta i tuoi anni e ti vergognerai di avere i medesimi
desideri di quando eri fanciullo, di cercare le medesime cose. Si avvicina
il giorno della morte, garantisciti che i tuoi vizi muoiano prima di te.
Allontana questi torbidi piaceri, che devi scontare a caro prezzo: non
nuocciono solo quelli futuri, ma anche quelli passati. Anche se i delitti
non sono scoperti, rimane sempre il rimorso, così il pentimento che nasce
dai piaceri disonesti non finisce con loro. Non sono reali, né costanti;
se pure non danneggiano, svaniscono. 3 Cerca piuttosto un bene duraturo;
ma è duraturo solo quel bene che l'animo trova in sé. Soltanto la virtù
procura una gioia stabile e sicura; anche se c'è un ostacolo, fa' come le
nubi, che si frappongono, ma non vincono mai la luce del giorno." 4 Quando
si potrà raggiungere questa gioia? Finora non siamo rimasti inoperosi,
dobbiamo, però affrettarci. Resta ancora molto lavoro ed è necessario che
vigili, che fatichi proprio tu, se vuoi portarlo a termine; in altri tipi
di studio si può ricevere un aiuto, qui non sono ammesse deleghe. 5 Ai
miei tempi viveva Calvisio Sabino, un riccone, che aveva patrimonio e
indole da liberto; non ho mai visto un uomo agiato in modo più indecente.
Costui aveva una memoria così debole che dimenticava il nome di Ulisse, di
Achille, o di Priamo: eppure li conosceva bene quanto noi conosciamo i
nostri maestri. Nessun vecchio schiavo nomenclatore, il quale anziché
riferire i nomi esatti, li inventi di sana pianta, ha mai salutato i
cittadini confondendoli tanto quanto lui confondeva i Troiani e gli Achei.
6 E tuttavia voleva apparire erudito. Escogitò perciò questo espediente:
spese una grande somma per comprare dei servi: uno che ricordasse a
memoria Omero, un altro Esiodo; assegnò inoltre uno schiavo a ciascuno dei
nove lirici. Non c'è da stupirsi che avesse speso tanto: non avendone
trovati già istruiti, pagò per farli preparare. Dopo essersi procurato
questa servitù, cominciò a molestare i suoi ospiti. Teneva ai suoi piedi
questi schiavi e a essi di volta in volta chiedeva i versi da recitare, e
tuttavia spesso si interrompeva a metà di una parola. 7 Satellio Quadrato,
uno sfruttatore di ricchi insensati, e di conseguenza adulatore e,
caratteristica legata a queste due, schernitore, gli consigliò di assumere
dei letterati per raccattare gli avanzi della mensa. Quando Sabino disse
che ogni servo gli costava centomila sesterzi, ribatté: "A minor prezzo
avresti comprato altrettante casse di libri." Egli, tuttavia, riteneva di
saperne più di qualunque altro in casa sua. 8 Questo stesso Satellio
cominciò a incitarlo a praticare la lotta, benché fosse malato, pallido e
gracile. E quando Sabino gli rispose: "E in che modo potrei farlo? A
stento mi reggo in piedi." "Non dire così, ti prego," gli disse, "non vedi
quanti servi forti hai?" La saggezza non si prende in prestito, e nemmeno
si compra; e ritengo che se anche fosse in vendita, non si troverebbero
compratori: la stupidità, invece, si compra quotidianamente.
9 Ma prendi ormai quanto ti devo e arrivederci. "La povertà regolata
secondo le leggi della natura è ricchezza." Lo dice spesso Epicuro ora in
un modo, ora nell'altro, ma non si ripete mai troppo quello che non si
impara mai abbastanza; a qualcuno bisogna indicare i rimedi, ad altri
bisogna inculcarli. Stammi bene.
>> Lettera 28
1 Pensi che sia capitato solo a te e ti stupisci come di un fatto
inaudito, perché, pur avendo viaggiato a lungo e in tanti posti diversi,
non ti sei scrollato di dosso la tua tristezza e il tuo malessere
spirituale? Devi cambiare animo, non cielo. Attraversa pure il mare,
lascia, come dice il nostro Virgilio, che
Scompaiano terre e città, all'orizzonte,
i tuoi vizi ti seguiranno dovunque andrai. 2 Socrate, a un tale che si
lagnava per la stessa ragione, disse: "Perché ti stupisci se viaggiare non
ti serve? Porti in giro te stesso. Ti perseguitano i medesimi motivi che
ti hanno fatto fuggire". A che possono giovare nuove terre? A che la
conoscenza di città e posti diversi? Tutto questo agitarsi è vano. Chiedi
perché questa fuga non ti sia di aiuto? Tu fuggi con te stesso. Deponi il
peso dell'anima: prima di allora non ti andrà a genio nessun luogo. 3
Pensa che la tua condizione è simile a quella che il nostro Virgilio
rappresenta nella profetessa esaltata, spronata e invasata da uno spirito
non suo:
La profetessa si dimena tentando di scacciare il dio dalla sua anima.
Vai di qua e di là per scuoterti di dosso il peso che ti opprime e che
diventa più gravoso proprio per questa tua agitazione; così in una nave il
carico stabile grava di meno, mentre, se è sballottato qua e là in maniera
diseguale, fa affondare il fianco su cui pesa. Qualunque cosa fai, si
risolve in un danno per te e gli stessi continui spostamenti ti nuocciono:
tu muovi un ammalato. 4 Ma quando avrai rimosso questo male, ogni
cambiamento di sede diventerà piacevole. Anche se verrai esiliato in terre
lontanissime o sarai trasferito in un qualsiasi paese barbaro, quel posto,
comunque sia, ti sembrerà ospitale. Conta più lo stato d'animo che il
luogo dove arrivi, perciò l'animo non va reso schiavo di nessun posto.
Bisogna vivere con questa convinzione: non sono nato per un solo
cantuccio, la mia patria è il mondo intero. 5 Se ti fosse chiaro questo
concetto, non ti stupiresti che non ti serva a niente cambiare
continuamente regione, perché sei stanco delle precedenti; ti sarebbe
piaciuta già la prima, se le considerassi tutte come tue. Ora non viaggi,
vai errando e ti lasci condurre e ti sposti da un luogo a un altro, mentre
quello che cerchi, vivere serenamente, si trova dovunque. 6 C'è forse un
posto più turbolento del foro? Anche qui, se è necessario, si può vivere
tranquilli. Ma se potessimo decidere di noi stessi, fuggirei lontano anche
dalla vista e dalla vicinanza del foro; come i luoghi insalubri minano
anche una salute di ferro, così per uno spirito sano, ma non ancora
perfetto e vigoroso, ci sono posti malsani. 7 Non sono d'accordo con
quelli che si spingono in mezzo alle onde e prediligono una vita agitata e
lottano ogni giorno animosamente con mille difficoltà. Il saggio dovrà
sopportarle, non andarsele a cercare, e preferire la tranquillità alla
lotta; non giova a molto essersi liberati dai propri vizi per poi
combattere con quelli degli altri. 8 "Trenta tiranni," ribatti, "fecero
pressione su Socrate, ma non poterono fiaccarne lo spirito." Che importa
quanti siano i padroni? La schiavitù è una sola; se uno la disprezza, per
quanti padroni abbia, è libero.
9 È tempo di finire, purché prima io paghi il pedaggio. "Aver coscienza
delle proprie colpe è il primo passo verso la salvezza." A me pare che
Epicuro abbia espresso un concetto molto giusto: se uno non sa di
sbagliare, non vuole correggersi; devi coglierti in fallo, prima di
correggerti. 10 Certi si gloriano dei propri vizi: e tu pensi che cerchi
un rimedio chi considera virtù i suoi vizi? Perciò per quanto puoi,
accùsati, fa' un esame di coscienza; assumi prima il ruolo di accusatore,
poi di giudice, da ultimo quello di intercessore; e talvolta punisciti.
Stammi bene.
>> Lettera 29
1 Mi chiedi notizie del nostro Marcellino e vuoi sapere che fa. Viene di
rado a trovarmi, unicamente perché teme di sentirsi dire la verità; ma non
corre questo pericolo; la verità bisogna dirla solo a chi è disposto ad
ascoltarla. Perciò in genere ci si chiede se fosse giusto il comportamento
di Diogene e degli altri Cinici che usavano una libertà indiscriminata e
ammonivano chiunque capitasse a tiro. Che giova rimproverare le persone
sorde o mute per natura o per malattia? 2 "Ma perché", ribatti, "dovrei
risparmiare le parole? Non costano niente. Non posso sapere se gioverò
all'individuo che ammonisco: so, però che se ammonisco molti potrò essere
utile a qualcuno. Bisogna sempre tendere la mano: chi fa molti tentativi,
prima o poi riesce a qualcosa." 3 Non credo, Lucilio mio, che un grande
uomo debba agire così: la sua autorità diminuisce e non ha sufficiente
peso su coloro che potrebbe correggere se fosse meno svilita. L'arciere
non deve colpire il bersaglio di quando in quando, ma deve sbagliare solo
di quando in quando; non è un'arte quella che arriva allo scopo per caso.
La saggezza è un'arte: miri al sicuro, scelga chi può fare progressi, si
allontani da quelli su cui non ha speranze, e tuttavia non rinunci sùbito
e, anche in casi disperati, tenti rimedi estremi.
4 Ancora non dispero del nostro Marcellino; ancora si può salvare, purché
gli si tenda sùbito la mano. C'è, però il pericolo che trascini con sé chi
gliela porge; ha una grande forza d'ingegno, ma già rivolta al male.
Correrò tuttavia, questo pericolo e mi arrischierò a mostrargli i suoi
vizi. 5 Farà come al solito: ricorrerà a quelle facezie che riescono a far
ridere anche chi sta piangendo e scherzerà dapprima su di sé, poi su di
noi; anticiperà tutto quello che intendo dirgli. Frugherà nelle nostre
scuole e rinfaccerà ai filosofi le elargizioni ricevute, le amanti, la
ghiottoneria. 6 Mi mostrerà che uno ha commesso adulterio, un altro si è
dato al bere, un terzo è a corte; mi segnalerà l'arguto filosofo Aristone,
che dissertava di filosofia in lettiga - aveva scelto questo momento per
svolgere il suo lavoro. Scauro, interrogato sulla sua setta di
appartenenza, rispose: "Certo non è un peripatetico"; e Giulio Grecino,
uomo insigne, cui fu chiesto cosa ne pensasse, disse: "Non posso
risponderti perché non so come se la cavi a piedi", quasi gli avessero
domandato un parere su un gladiatore che combatte dal carro. 7 Marcellino
mi getterà in faccia questi ciarlatani che sarebbero stati più onesti se
quella filosofia di cui fanno mercato l'avessero tralasciata. Ho, però
deciso di sopportare le sue ingiurie: mi faccia pure ridere, io forse lo
farò piangere, oppure, se continuerà a ridere, ne sarò contento, come si
può esserlo di un male: almeno gli è capitato un genere di pazzia ilare.
Ma questa ilarità non può durare a lungo: facci caso, vedrai le medesime
persone ridere sfrenatamente e sfrenatamente andare in collera in breve
tempo. 8 È mia intenzione avvicinarlo e mostrargli quanto varrebbe di più
se valesse meno agli occhi della massa. Anche se non riuscirò a estirpare
i suoi vizi, vi metterò un freno; non scompariranno del tutto, ma almeno
cesseranno a intervalli; e forse potranno addirittura scomparire, se gli
intervalli diventeranno un'abitudine. Non è un risultato da disdegnare:
per gli ammalati gravi una pausa della malattia è quasi una guarigione.
9 Mentre io mi preparo a curarmi di lui, frattanto, tu che puoi, che sai
da che cosa ti sei tirato fuori e quindi sei in grado di capire dove
potrai arrivare, regola le tue abitudini, innalza lo spirito, stai saldo
contro ciò che temi; non metterti a considerare quanti ti fanno paura. Se
uno temesse la folla in un punto dove può passare solo una persona per
volta non sembrerebbe stupido? Ugualmente non sono molti a poterti dare la
morte, anche se molti te la minacciano. È una legge di natura: una sola
persona ti ha dato la vita, una sola te la toglierà.
10 Se avessi un po' di rispetto, mi avresti condonato l'ultima rata; ma
neppure io, arrivato alla fine dei miei debiti, voglio comportarmi da
avaro e ti darò per forza quanto ti devo. "Non ho mai voluto piacere al
popolo: il popolo non apprezza le cose che io so, e io non so le cose che
apprezza il popolo." 11 "Chi ha scritto questa frase?" chiedi, come se non
sapessi a chi do l'ordine di pagare. Epicuro; ma questo stesso concetto te
lo esprimeranno a gran voce tutti insieme i filosofi di ogni scuola,
peripatetici, accademici, stoici, cinici: se uno ama la virtù, come può
piacere al popolo? Il favore popolare si ottiene con mezzi loschi. Devi
renderti simile a loro: non ti apprezzeranno, se non ti riconosceranno
uguale. Ma l'opinione che hai di te stesso è molto più importante
dell'opinione altrui; solo con sistemi disonesti ci si può accattivare il
favore dei disonesti. 12 Che cosa, dunque, ti potrà insegnare quella
filosofia tanto lodata e preferibile a tutte le arti e a tutti i beni?
Naturalmente a voler piacere a te stesso più che al popolo, a valutare i
giudizi, ma non in base al numero, a vivere senza paura degli dèi e degli
uomini, a vincere i mali o a mettervi un limite. Ma se vedrò che sei
famoso per i giudizi favorevoli del popolo, se al tuo ingresso
risuoneranno grida e applausi, onori da pantomimi, se in tutta la città
faranno le tue lodi donne e ragazzi, perché non dovrei avere compassione
di te? So qual è la strada che porta a questo genere di favore. Stammi
bene.