domingo, 4 de novembro de 2018

"Até hoje eu não lutei pela minha liberdade, mas pela da pátria e não agia com tanta determinação para viver livre, mas para viver entre homens livres: Agora, pois a condição do gênero humano está desesperada." Seneca 02 11 2018 O












































Letra Ubuntu Mono
Folha Vintage A4 tirado da Declaração da Independência dos Estados Unidos da América.
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...ora quando si arriverà a parlare del disprezzo della morte, mi racconterai di Catone." E perché non dovrei raccontarti che in quella famosa ultima notte leggeva un libro di Platone con la spada posata vicino alla testa? Si era procurato in quel momento supremo questi due strumenti: uno che rafforzasse la sua decisione di morire, l'altro che la rendesse possibile. Disposte le sue cose come meglio poteva in quelle circostanze terribili ed estreme, decise di agire in modo che nessuno potesse uccidere Catone, o gli toccasse di salvarlo; e afferrata la spada che fino a quel giorno non aveva mai macchiato di sangue, disse: "Fortuna, non hai ottenuto nulla contrastando i miei tentativi. Fino ad oggi non ho lottato per la mia libertà, ma per quella della patria e non agivo con tanta determinazione per vivere libero, ma per vivere tra uomini liberi: ora, poiché la condizione del genere umano è disperata, possa Catone mettersi al sicuro." Poi si inferse la ferita mortale; quando i medici gliela suturarono, benché avesse perso sangue e forza, ma non coraggio, irato non tanto con Cesare quanto con se stesso, cacciò le mani nude nella ferita e non spirò ma scagliò via la sua anima generosa e sprezzante di ogni potenza.
Seneca, Lettere a Lucilio, III, 24

... Agora quando você chegar a falar sobre o desprezo da morte, você vai me contar sobre catão." e por que eu não deveria te contar que naquela famosa última noite lia um livro de Platão com a espada posada perto da cabeça? Tinha-se conseguido nesse momento supremo estes dois instrumentos: um que reforçasse a sua decisão de morrer, o outro que a tornasse possível. Dispostas as suas coisas como melhor podia nessas circunstâncias terríveis e extremas, decididas a agir para que ninguém pudesse matar catão, ou lhe tocasse de salvá-lo; e agarrou a espada que até esse dia nunca tinha manchado de sangue, disse: " Sorte, você não conseguiu nada contra as minhas tentativas. Até hoje eu não lutei pela minha liberdade, mas pela da pátria e não agia com tanta determinação para viver livre, mas para viver entre homens livres: Agora, pois a condição do gênero humano está desesperada, possa catão se colocar em segurança." Depois se papel a ferida mortal; quando os médicos lhe suturarono, apesar de ter perdido sangue e força, mas não coragem, furioso não tanto com César quanto consigo mesmo, expulsou as mãos nuas na ferida e não expirou mas atirou via a sua alma generosa E desdenhoso de toda potência.

Seneca, letras em lucilio, III, 24
https://archive.li/RsAvx

http://www.carnesecchi.eu/dante.htm?

abaixo
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https://archive.li/i9ttb


>> Lettera 22
1 Tu ormai capisci che devi tirarti fuori da queste occupazioni belle e 
nocive; ma chiedi come puoi farlo. Certi suggerimenti li si può dare solo 
di persona; il medico non può scegliere per lettera l'ora del pranzo o del 
bagno: deve tastare il polso. Dice un vecchio proverbio che il gladiatore 
decide le sue mosse nell'arena: gliele suggeriscono il volto 
dell'avversario, i movimenti delle mani, l'inclinazione stessa del corpo, 
che egli studia attentamente. 2 Sulle consuetudini e le regole di condotta 
si possono rivolgere raccomandazioni sul piano generale per mezzo di 
qualcuno o per iscritto; consigli simili non si dànno solo agli assenti, 
ma addirittura ai posteri; ma sul tempo o sulle modalità delle azioni 
nessuno può consigliare da lontano: bisogna decidere sul posto. 3 Non 
basta essere presenti, bisogna avere gli occhi aperti per scorgere 
l'occasione propizia e fugace; devi cercare di scovarla, e se la vedi, 
devi coglierla al volo e mettere ogni slancio, ogni tua forza per 
liberarti di questi tuoi impegni. E ora ascolta bene il mio giudizio: io 
penso che da una vita come questa devi uscire, oppure uscire addirittura 
dalla vita. Ma penso anche che non devi farlo in maniera brusca: sciogli 
più che spezzare quei nodi in cui ti sei malamente impigliato, e tuttavia, 
se non ci sarà altro modo di scioglierli, spezzali. Nessuno è tanto pavido 
da preferire di stare sempre in bilico, piuttosto che di cadere una volta 
per tutte. 4 Frattanto, per prima cosa, non crearti altri impedimenti: 
bastano questi affari in cui ti sei cacciato o, come vorresti far credere, 
sei finito. Non devi cercartene altri o non avrai più scusanti: sarà 
chiaro che te li sei voluti. Le scuse che in genere si accampano sono 
pretestuose: "Non ho potuto fare diversamente. Che sarebbe accaduto se mi 
fossi rifiutato? Era necessario." Inseguire il successo non è 
indispensabile per nessuno: ma, se anche non vogliamo opporci, possiamo 
esercitare una resistenza passiva senza incalzare la fortuna che ci porta 
avanti.
5 Non avertela a male se i consigli non te li do io solo, ma ricorro anche 
ad altri, certo più saggi di me, ai quali di solito mi rivolgo, quando 
devo prendere una decisione. Leggi a questo proposito la lettera che 
Epicuro scrisse a Idomeneo: lo prega di fuggire il più in fretta 
possibile, prima che intervenga una forza maggiore e gli tolga la libertà 
di ritirarsi. 6 Occorre, però agire solo quando si potrà farlo in maniera 
adeguata, aggiunge, e al momento opportuno; ma quando si presenta 
l'occasione a lungo attesa, bisogna balzare su prontamente. Egli non 
ammette che sonnecchi chi pensa alla fuga, e pronostica un esito positivo 
anche nelle situazioni più difficili: basta non affrettarsi prima del 
tempo, e non ritirarsi al momento dell'azione. 7 A questo punto, credo, 
vorrai sentire anche l'opinione degli Stoici. Nessuno può accusarli di 
temerità: sono più cauti che coraggiosi. Ti aspetti forse che ti dicano: 
"È vergognoso cedere al peso; lotta con l'impegno che hai assunto. L'uomo 
che fugge la fatica e non dimostra un coraggio crescente di fronte alle 
difficoltà non è forte e valoroso." 8 Ti diranno così, se vale la pena di 
perseverare, se non si devono compiere o sopportare azioni indegne di un 
uomo onesto; altrimenti egli non si logorerà in fatiche spregevoli e 
infamanti, né vorrà mantenere delle occupazioni solo per essere occupato. 
L'uomo onesto non agirà neppure come pensi tu, disposto a sopportare, 
impelagato nelle ambizioni, gli affanni che ne derivano. Quando vedrà che 
la situazione in cui si dibatte è grave, incerta e ambigua, si ritirerà 
senza volgere le spalle, retrocedendo a poco a poco fino a mettersi al 
sicuro. 9 È facile, caro Lucilio, sbarazzarsi degli impegni, se ne 
disprezzi gli utili: sono proprio questi che ci fanno indugiare e ci 
trattengono. "E allora? Devo abbandonare tante grandi speranze? Rinunciare 
proprio al momento di raccogliere i frutti? Nessuno più al mio fianco, la 
mia lettiga senza accompagnatori, l'atrio della mia casa deserto?" A 
queste miserie gli uomini rinunciano malvolentieri e mentre le disprezzano 
si compiacciono delle gratificazioni che danno. 10 Si lamentano 
dell'ambizione come dell'amante: se guardi ai loro veri sentimenti, 
capisci che non lo fanno per odio, ma solo per attaccare briga. Esamina a 
fondo queste persone che deplorano quanto hanno desiderato e parlano di 
fuggire da quei beni per loro indispensabili; vedrai: indugiano 
volontariamente in quella situazione che dicono di sopportare a stento e 
con dolore. 11 È proprio così, Lucilio: pochi sono costretti alla 
schiavitù, la maggior parte si vincola da sé. Ma se hai intenzione di 
uscirne e cerchi davvero la libertà e chiedi un rinvio solo per mettere in 
atto le tue decisioni serenamente, perché non dovrebbe approvarti tutta la 
schiera degli Stoici? Tutti, da Zenone a Crisippo, ti esorteranno alla 
moderazione e all'onestà. 12 Ma se tergiversi per vedere quanto puoi 
portare con te e con quanto denaro puoi disporre convenientemente il tuo 
ritiro, non troverai mai una via d'uscita: nessuno può nuotare carico di 
bagagli. Elevati a una vita migliore col favore di dio, ma non quel favore 
che egli dimostra dispensando benignamente splendidi mali con una sola 
scusante: quei doni che bruciano, che tormentano, sono stati concessi su 
richiesta.
13 Già mettevo il sigillo alla lettera: ma devo riaprirla, perché ti 
arrivi col consueto piccolo dono e porti con sé una bella massima; me ne 
viene in mente una, non so se più vera o più eloquente. "Di chi è?" 
chiedi. Di Epicuro; ancora una volta faccio miei bagagli di altri: 14 
"Tutti escono dalla vita come se vi fossero entrati da poco." Pensa a chi 
vuoi, giovani, vecchi, uomini maturi; li troverai ugualmente timorosi 
della morte, ugualmente ignari della vita. Nessuno ha concluso niente; 
rimandiamo sempre tutto al futuro. Quello che più mi piace di questa frase 
è che rimprovera ai vecchi di essere infantili. 15 "Nessuno," dice, "muore 
diverso da come è nato." È falso: moriamo peggiori di quando siamo nati. E 
la colpa è nostra, non della natura. Essa ha il diritto di lamentarsi con 
noi: "E allora?" dice, "vi ho generato senza desiderî, senza paure, senza 
superstizioni, senza perfidie, senza altri mali: uscite dalla vita quali 
siete entrati." 16 Chi muore sereno come è nato ha conquistato la 
saggezza; e invece, quando il pericolo ci è vicino, abbiamo paura, il 
coraggio se ne va, scoloriamo in volto, versiamo lacrime inutili. Che c'è 
di più vergognoso dell'essere turbati proprio alle soglie della serenità? 
17 Il motivo è che siamo privi di ogni bene e soffriamo di aver sprecato 
la vita. Non ce n'è rimasto niente: è passata, scivolata via. Nessuno si 
preoccupa di vivere bene, ma di vivere a lungo; eppure tutti possono fare 
in modo di vivere bene, nessuno di vivere a lungo. Stammi bene.


>> Lettera 23

1 Pensi che ti scriva quanto è stato benevolo con noi l'inverno, così mite 
e breve, quanto sia maligna la primavera, quanto fuori stagione il freddo 
e altre sciocchezze tipiche di chi non ha argomenti? Ti scriverò invece, 
qualcosa che possa essere utile a entrambi. E che altro se non esortarti 
alla saggezza? Chiedi quale ne sia il fondamento? Non compiacersi delle 
vanità. 2 Ho detto il fondamento: dovevo dire il culmine. E lo raggiunge 
chi sa di che cosa gioire, chi non mette la sua felicità nelle mani 
d'altri; è preoccupato e insicuro l'uomo che si lascia sedurre da una 
qualche speranza, anche se l'ha a portata di mano, anche se non è 
difficile a realizzarsi, anche se non è mai stato deluso nelle sue attese. 
3 Impara innanzi tutto a gioire, Lucilio mio. Pensi davvero che ti voglia 
privare di molti piaceri perché allontano i beni fortuiti e ritengo che si 
debba evitare il dolce conforto della speranza? Anzi, al contrario, non 
voglio che ti manchi mai la gioia. Voglio, però che ti nasca in casa: e 
nasce, purché scaturisca dall'intimo. Le altre forme di contentezza non 
riempiono il cuore; rasserenano il volto, ma sono fugaci, a meno che tu 
non giudichi felice uno che ride: l'animo deve essere allegro e fiducioso 
ed ergersi al di sopra di tutto. 4 Credimi, la vera gioia è austera. 
Oppure ritieni che l'uomo sereno e, come dicono questi sdolcinati, gaio in 
volto, disprezzi la morte, apra la sua casa alla povertà, tenga a freno i 
piaceri, si prepari a sopportare i dolori? Chi medita su questi pensieri 
prova una grande gioia, anche se poco seducente. Questa gioia voglio che 
tu la possieda: non verrà mai meno, una volta che tu sappia da dove 
derivi. 5 I metalli vili si trovano in superficie: i più preziosi sono 
nascosti, invece, nelle viscere della terra, e procurano un compenso 
maggiore a chi ha la costanza di scavare. Quei beni di cui si compiace la 
massa dànno un piacere inconsistente e superficiale: ogni gioia che viene 
dall'esterno manca di fondamenta: questa, di cui ti parlo e alla quale 
cerco di condurti, è reale e si spiega più intensamente nell'intimo. 6 Ti 
prego, carissimo, fa' la sola cosa che può renderti felice: distruggi e 
calpesta questi beni splendidi solo esteriormente, che uno ti promette o 
che speri da un altro; aspira al vero bene e godi del tuo. Ma che cosa è 
"il tuo"? Te stesso e la parte migliore di te. Anche il corpo, povera 
cosa, benché non se ne possa fare a meno, stimalo necessario più che 
importante; ci procura piaceri vani, di breve durata, di cui 
necessariamente ci pentiamo e che, se non li frena una grande moderazione, 
hanno un esito opposto. Questo dico: il piacere sta sul filo, e si muta in 
dolore se non ha misura; ma è difficile tenere una giusta misura in quello 
che si crede un bene: solo il desiderio, anche intenso, del vero bene è 
senza pericoli. 7 Vuoi sapere che cosa sia il vero bene o da dove venga? 
Te lo dirò: dalla buona coscienza, dagli onesti propositi, dalle rette 
azioni, dal disprezzo del caso, dal tranquillo e costante tenore di vita 
di chi segue sempre lo stesso cammino. Quegli uomini che passano da un 
proposito all'altro o neppure passano, ma si lasciano portare dal caso, 
come possono avere sicurezza e stabilità se sono incerti e instabili? 8 
Sono pochi quelli che decidono di sé e delle proprie cose a ragion veduta: 
gli altri, come gli oggetti che galleggiano nei fiumi, non avanzano: 
vengono trasportati: alcuni sono trattenuti e spostati più lentamente da 
una corrente più debole, altri trascinati con maggiore violenza, altri 
deposti vicino alla riva da una corrente meno forte, altri gettati in mare 
dall'impeto delle acque. Dobbiamo, perciò stabilire che cosa vogliamo e 
perseverare nei nostri propositi.
9 È arrivato il momento di pagare il mio debito. Posso riferirti una frase 
del tuo Epicuro e adempiere al vincolo di questa lettera: "È penoso 
cominciare sempre la vita", oppure, se così il senso è più chiaro: "Vivono 
male quelle persone che cominciano sempre a vivere." 10 "Perché?" chiedi; 
difatti questa frase necessita di una spiegazione. Perché la loro vita è 
sempre incompleta; non può essere pronto alla morte chi proprio allora 
comincia a vivere. Dobbiamo fare in modo di aver vissuto abbastanza. Ma 
questo non lo fa chi è intento proprio allora a tessere la trama della sua 
esistenza. 11 Non pensare che uomini del genere siano pochi: sono quasi 
tutti così. Certi, poi, cominciano quando è tempo di smettere. Se ti pare 
strano, aggiungerò una cosa che ti sembrerà ancora più strana: certi 
uomini finiscono di vivere ancora prima di cominciare. Stammi bene.


>> Lettera 24

1 Mi scrivi di essere preoccupato per l'esito della causa che ti è stata 
intentata dal furore di un tuo nemico; e pensi che io ti esorti ad 
augurarti il meglio e a trovare conforto in speranze lusinghiere. Che 
necessità c'è, infatti, di chiamare i guai, di anticiparseli se, quando 
arriveranno, dovrai sopportarli già abbastanza presto; perché rovinarsi il 
presente per timore del futuro? Senza dubbio è da pazzi essere infelice 
oggi, perché un giorno o l'altro potresti essere infelice. 2 Ma io voglio 
condurti alla serenità per un'altra strada: se vuoi liberarti da ogni 
preoccupazione, pensa che avverrà senz'altro quello che temi e, qualunque 
sia quel male, misuralo con te stesso e poi valuta attentamente la tua 
paura: sicuramente ti renderai conto che il male temuto o non è grave o 
non durerà a lungo. 3 Non è difficile trovare esempi confortanti: ogni 
epoca ne ha. Richiama alla memoria un periodo qualsiasi della storia 
nazionale ed estera: ti si presenteranno uomini insigni o per i loro 
grandi progressi spirituali o per i nobili slanci. Se subirai una 
condanna, ti può capitare qualcosa di più penoso che l'esilio o il 
carcere? O qualcosa di più temibile che la tortura o la morte? Esamina 
questi mali uno per uno e rievoca gli uomini che li hanno disprezzati: non 
dovrai cercarli, ma solo operare una scelta. 4 Rutilio sopportò la sua 
condanna come se per lui la cosa più gravosa fosse una cattiva 
reputazione. Metello sostenne con coraggio l'esilio, Rutilio addirittura 
volentieri. L'uno assicurò allo stato il suo ritorno, l'altro rifiutò il 
ritorno concessogli da Silla: un uomo cui allora non si rifiutava niente. 
In carcere Socrate continuò a discutere di filosofia e non volle fuggire, 
pur essendoci chi gli assicurava la fuga; rimase per liberare gli uomini 
dalla paura delle due disgrazie ritenute più dure: la morte e il carcere. 
5 Mucio mise la mano sul fuoco. È doloroso essere bruciati: quanto più 
doloroso è infliggersi volontariamente questa pena! Hai di fronte un uomo 
incolto, che non ha ricevuto nessun insegnamento contro la morte o la 
sofferenza, forte solo del suo valore militare e che esige da sé una pena 
per un tentativo andato a vuoto. Stette immobile a guardare la sua mano 
consumarsi sul braciere dei nemici e non la tolse, la lasciò bruciare fino 
all'osso: fu il nemico a portargli via il fuoco. Avrebbe potuto compiere 
in quell'accampamento un'impresa più fortunata, ma non più coraggiosa. 
Vedi, quanto più pronto sia il valore ad affrontare i pericoli che la 
crudeltà ad imporli. Porsenna perdonò più facilmente a Mucio di averlo 
voluto uccidere di quanto Mucio perdonò a se stesso di non averlo ucciso.
6 "Queste sono leggende," ribatti, "dette e ripetute in tutte le scuole; e 
ora quando si arriverà a parlare del disprezzo della morte, mi racconterai 
di Catone." E perché non dovrei raccontarti che in quella famosa ultima 
notte leggeva un libro di Platone con la spada posata vicino alla testa? 
Si era procurato in quel momento supremo questi due strumenti: uno che 
rafforzasse la sua decisione di morire, l'altro che la rendesse possibile. 
Disposte le sue cose come meglio poteva in quelle circostanze terribili ed 
estreme, decise di agire in modo che nessuno potesse uccidere Catone, o 
gli toccasse di salvarlo; 7 e afferrata la spada che fino a quel giorno 
non aveva mai macchiato di sangue, disse: "Fortuna, non hai ottenuto nulla 
contrastando i miei tentativi. Fino ad oggi non ho lottato per la mia 
libertà, ma per quella della patria e non agivo con tanta determinazione 
per vivere libero, ma per vivere tra uomini liberi: ora, poiché la 
condizione del genere umano è disperata, possa Catone mettersi al sicuro." 
8 Poi si inferse la ferita mortale; quando i medici gliela suturarono, 
benché avesse perso sangue e forza, ma non coraggio, irato non tanto con 
Cesare quanto con se stesso, cacciò le mani nude nella ferita e non spirò 
ma scagliò via la sua anima generosa e sprezzante di ogni potenza.
9 Non è mia intenzione raccogliere questi esempi per esercitare la mente, 
ma per farti coraggio contro il male ritenuto il peggiore; e riuscirò più 
facilmente nel mio proposito mostrandoti che non solo uomini coraggiosi 
hanno affrontato con sprezzo il momento della morte, ma che alcuni, vili 
in altre circostanze, in questa occasione hanno emulato il coraggio dei 
più forti; per esempio il famoso Scipione, suocero di G. Pompeo; egli, 
spinto sulle coste africane da venti contrari, vedendo che la sua nave era 
caduta in mano nemica, si trafisse con la spada, e a chi chiedeva dove 
fosse il generale: "Il generale sta bene", rispose. 10 Questa frase lo ha 
reso degno dei suoi antenati e ha perpetuato la fatale gloria degli 
Scipioni in Africa. Fu una grande impresa vincere Cartagine, ma ancora più 
grande fu vincere la morte. "Il generale sta bene"' doveva forse morire 
diversamente un generale e per di più il generale di Catone? 11 Non ti 
richiamo alle vicende storiche, e nemmeno voglio raccogliere da tutte le 
epoche quegli uomini, e sono numerosissimi, che hanno disprezzato la 
morte. Guarda a questi nostri tempi, di cui lamentiamo la rilassatezza e 
l'amore dei piaceri: vedrai persone di ogni ceto sociale, di ogni 
condizione, di ogni età, i quali hanno troncato i loro mali con la morte. 
Credimi, Lucilio, la morte è così poco temibile che proprio per merito suo 
non dobbiamo temere nulla. 12 Ascolta, perciò tranquillo le minacce del 
tuo nemico; la tua coscienza ti dà fiducia, ma, poiché hanno il loro peso 
anche fattori estranei al processo, spera, sì, in una sentenza veramente 
giusta, ma preparati anche a una totalmente ingiusta. E innanzi tutto 
ricordati di spogliare gli avvenimenti dal tumulto che li accompagna e di 
considerarli nella loro essenza: capirai che in essi non c'è niente di 
terribile se non la nostra paura. 13 Ciò che vedi succedere ai fanciulli, 
succede anche a noi che siamo solo dei fanciulli un po' più grandi: quando 
vedono mascherate le persone che amano e con le quali hanno una 
consuetudine di giochi e di vita, si spaventano: anche alle cose, come 
agli uomini, bisogna togliere la maschera e restituire loro il vero 
aspetto. 14 Perché mi mostri spade, fuoco e una turba di carnefici 
fremente intorno a te? Togli di mezzo questo apparato sotto il quale ti 
nascondi e atterrisci gli sciocchi: tu sei la morte, per te or ora un mio 
servo, una mia ancella, hanno mostrato disprezzo. Perché tu di nuovo mi 
spieghi davanti con grande messa in scena flagelli e strumenti di tortura? 
Perché mi mostri arnesi diversi per tormentare le varie articolazioni e 
mille altri macchinari per straziare un uomo brano a brano? Lascia da 
parte questi strumenti di terrore; fa' cessare i gemiti, le grida e gli 
urli lancinanti strappati con la tortura: tu sei il dolore che il 
podagroso disprezza, che l'ammalato di stomaco sopporta in mezzo ai 
piaceri del pranzo, che la giovane donna soffre con coraggio durante il 
parto. Se ti posso sopportare, sei leggero; se non posso, durerai poco.
15 Rifletti su queste parole che hai spesso udito e spesso pronunciato; 
prova ora coi fatti che hai ascoltato, che hai parlato con sincerità; 
sovente ci rinfacciano un comportamento davvero vergognoso: discutiamo di 
filosofia, ma non la mettiamo in pratica. Come? Che ti minaccia la morte, 
l'esilio, il dolore l'hai capito ora per la prima volta? Sei nato con 
questo destino; qualunque cosa possa accadere pensiamola come se fosse 
certa. 16 Hai sicuramente agito come ti suggerisco, lo so: ora, però ti 
esorto a non sommergere il tuo spirito in queste preoccupazioni; si 
indebolirà e avrà meno vigore al momento in cui dovrà levarsi a 
combattere. Volgilo dai tuoi problemi personali a quelli generali; 
ripetigli che hai un corpo mortale e fragile; sofferenze possono 
infliggergliene non solo la violenza o la forza dei più potenti; i piaceri 
stessi si volgono in tormenti: i pranzi provocano indigestioni, 
l'ubriachezza torpore e tremiti nervosi, la lussuria può deformare piedi, 
mani e tutte le articolazioni. 17 Diventerò povero: sarò tra i più. Andrò 
in esilio: penserò di esser nato là dove mi manderanno. Sarò incatenato: e 
allora? Sono forse libero adesso? La natura mi ha vincolato a questo grave 
peso: il corpo. Morirò: è come se tu dicessi: non correrò più il rischio 
di ammalarmi, di essere messo in catene, di morire.
18 Non sono tanto ottuso da recitare a questo punto la litania epicurea e 
ripetere che sono falsi gli spauracchi dell'oltretomba; Issione non gira 
legato a una ruota, Sisifo non spinge con le spalle un masso su per una 
salita, a nessuno possono ogni giorno ricrescere ed essere divorate le 
viscere: non c'è uomo così infantile da temere Cerbero, le tenebre e gli 
spettri sotto forma di nudi scheletri. La morte o ci consuma o ci spoglia; 
se ci libera dal peso del corpo, rimane la parte migliore di noi; se ci 
consuma, di noi non resta niente; beni e mali scompaiono allo stesso modo. 
19 Permettimi a questo punto di citare un tuo verso; bada, però: non lo 
hai scritto solo per gli altri, ma anche per te. È vergognoso dire una 
cosa e pensarne un'altra: ma scrivere una cosa e pensarne un'altra lo è 
ancòra di più. Ricordo che una volta hai trattato questo argomento: noi 
non precipitiamo all'improvviso nella morte, ma ci avviciniamo a poco a 
poco. 20 Moriamo ogni giorno: ogni giorno ci viene tolta una parte della 
vita e anche quando ancora cresciamo, la vita decresce. Abbiamo perduto 
l'infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Tutto il tempo 
trascorso fino a ieri è ormai perduto; anche questo giorno che stiamo 
vivendo lo dividiamo con la morte. Come la clessidra non la vuota l'ultima 
goccia d'acqua, ma tutta quella defluita prima, così l'ora estrema, che 
mette fine alla nostra vita, non provoca da sola la morte, ma da sola la 
compie; noi vi giungiamo in quel momento, da tempo, però, vi siamo 
diretti. 21 Dopo aver delineato questi concetti con il tuo solito 
linguaggio, sempre sostenuto e tuttavia mai più penetrante di quando metti 
le parole al servizio della verità, scrivi:
La morte non viene una volta sola: quella che ci porta via è l'ultima 
morte.
È meglio che tu legga te stesso invece della mia lettera; capirai che 
questa da noi temuta, è la morte estrema, non la sola.
22 So dove guardi: cerchi che cosa ho inserito in questa lettera, che 
massima coraggiosa, che insegnamento utile di un qualche autore. Ti 
manderò dei pensieri sull'argomento in questione. Epicuro biasima chi 
brama la morte non meno di chi la teme e afferma: "È ridicolo correre 
verso la morte per stanchezza della vita, quando è il tuo sistema di vita 
che ti fa correre incontro alla morte." 23 E ancòra in un altro passo: 
"Che c'è di tanto ridicolo quanto cercare la morte, se proprio per paura 
della morte ti sei reso la vita impossibile?" Aggiungi anche un'altra 
considerazione simile: è tanta la stupidità, anzi la follia degli uomini, 
che alcuni sono spinti alla morte dal timore della morte. 24 Medita su uno 
qualsiasi di questi pensieri, rafforzerai il tuo animo a sopportare o la 
morte o la vita; dobbiamo essere consigliati e incoraggiati sia a non 
amare troppo la vita, sia a non odiarla troppo. Anche quando la ragione ci 
spinge a farla finita, non prendiamo risoluzioni sconsiderate e avventate. 
25 L'uomo forte e saggio non deve fuggire dalla vita, ma uscirne: e 
soprattutto eviti uno stato d'animo comune a molti: la smania di morire. 
Lucilio mio, come per altre cose, anche per la morte c'è una propensione 
inconsulta: spesso assale gli uomini generosi e impavidi, spesso gli 
ignavi e i deboli: gli uni sprezzano la vita, gli altri ne sono gravati. 
26 In certi si insinua la sazietà di fare e di vedere sempre le stesse 
cose, e non l'odio, ma il disgusto della vita; vi scivoliamo spinti dalla 
filosofia stessa e ci chiediamo: "Fino a quando le medesime cose? Mi 
sveglierò dormirò mangerò avrò fame, avrò freddo, avrò caldo. Niente 
finisce, ogni cosa è concatenata in un circolo chiuso; fugge e insegue; la 
notte incalza il giorno, il giorno la notte, l'estate finisce 
nell'autunno, l'autunno è inseguito dall'inverno, che è chiuso dalla 
primavera; tutto passa per ritornare. Non faccio niente di nuovo, non vedo 
niente di nuovo e un bel giorno tutto questo viene a nausea." Ci sono 
molti che la vita non la giudicano penosa, ma superflua. Stammi bene.


>> Lettera 25

1 Riguardo ai nostri due amici, bisogna seguire una strada diversa: 
correggere i vizi dell'uno, stroncare quelli dell'altro. Sarò molto 
franco: non gli vorrei bene, se non lo trattassi con asprezza. "Come?" 
dici. "Pensi di tenere sotto la tua tutela un pupillo di quarant'anni? 
Considera la sua età: è ormai incallito e indocile: non lo puoi cambiare; 
solo i materiali duttili si modellano." 2 Non so se ci riuscirò: certo 
preferisco l'insuccesso al disimpegno. Non bisogna disperare: anche gli 
ammalati cronici possono guarire, se ti opponi alle loro intemperanze e li 
costringi a fare e a sopportare molte cose contro la loro volontà. Neppure 
nell'altro avrei molta fiducia, se non arrossisse ancòra dei suoi peccati; 
bisogna alimentare questo pudore: fino a quando durerà nel suo animo, ci 
sarà posto per la speranza. Con questo peccatore di vecchia data, secondo 
me, occorre agire con più tatto, perché non arrivi a disperare di se 
stesso; 3 e per tentare, nessun momento era migliore di questo, mentre ha 
un periodo di quiete, mentre sembra che si sia corretto. Questa 
interruzione può ingannare altri, non me: mi aspetto che i vizi ritornino 
e con gli interessi. Ora non compaiono, lo so, ma non sono stati eliminati 
del tutto. Dedicherò qualche giorno a questo problema e vedrò se si può 
fare o no qualcosa.
4 Tu dimostrati forte, come fai, e diminuisci i tuoi bagagli; di ciò che 
possediamo niente è necessario. Ritorniamo alla legge di natura; la 
ricchezza è a portata di mano. Ciò di cui abbiamo necessità o è gratuito o 
costa poco: la natura ha bisogno solo di pane e acqua. Nessuno è troppo 
povero per procurarseli e se uno limita qui le sue esigenze, può competere 
in felicità con Giove stesso, come dice Epicuro di cui voglio inserire una 
frase in questa lettera. 5 "Agisci sempre," dice, "come se Epicuro ti 
vedesse." Senza dubbio serve imporsi un custode, avere un uomo cui 
guardare, saperlo partecipe dei tuoi pensieri. È molto meglio vivere come 
se si fosse sempre sotto gli occhi di un uomo virtuoso; ma se tu agisci 
come se ti osservasse uno qualsiasi, mi basta. La solitudine ci spinge ad 
ogni genere di mali. 6 Quando avrai fatto progressi tali da avere 
soggezione anche di te stesso, potrai congedare il tuo pedagogo: intanto 
fatti controllare da un uomo autorevole - sia pure il famoso Catone o 
Scipione o Lelio o un altro alla cui presenza anche uomini corrotti 
cercherebbero di soffocare i loro vizi - finché ti renderai tale che non 
oserai peccare di fronte a te stesso. Quando avrai realizzato questo e 
comincerai ad avere rispetto di te, ti permetterò quanto consiglia lo 
stesso Epicuro: "Ritirati in te soprattutto quando sei costretto a stare 
tra la folla." 7 Bisogna che tu diventi diverso dalla massa, per poterti 
ritirare in te senza pericolo. Guarda uno per uno quelli che ti 
circondano: non c'è nessuno per cui non sarebbe preferibile stare col 
primo venuto piuttosto che con se stesso. "Ritirati in te soprattutto 
quando sei costretto a stare tra la folla", se sei un uomo onesto, 
tranquillo, temperante. Altrimenti devi sfuggire da te e andare tra la 
gente: nello stato in cui versi sei più vicino a un uomo disonesto. Stammi 
bene.


>> Lettera 26
1 Poco fa ti dicevo di essere in cospetto della vecchiaia: ora temo di 
essermela già lasciata alle spalle. Ai miei anni e a questo mio fisico 
conviene ormai un altro termine; vecchiaia indica un'età stanca, ma non 
priva di forze; mettimi, invece, nel numero degli uomini decrepiti, vicini 
alla fine. 2 Posso, tuttavia, dirti che sono grato a me stesso: i danni 
dell'età, benché li avverta nel corpo, non li sento nello spirito. Solo i 
vizi e gli strumenti dei vizi sono invecchiati: lo spirito è forte e 
gioisce di non aver molto in comune con il corpo: ha ormai deposto gran 
parte del suo peso. Esulta e discute con me sulla vecchiaia: dice che 
questo è il suo fiore. Crediamogli: si goda il suo bene. 3 Mi esorta a 
pensare e a individuare quanto di questa tranquillità e moderazione di 
costumi io debba alla saggezza, quanto all'età, e ad esaminare con 
attenzione quello che non posso e quello che non voglio fare, e io mi 
compiaccio di considerare quello che non posso fare, come se non lo 
volessi: quale motivo di lagnarsi, quale danno c'è, se sono venute a 
mancare cose destinate a finire? 4 "Ma è un danno gravissimo," dici, 
"consumarsi, deperire o, meglio, sfarsi. Non siamo colpiti e abbattuti 
all'improvviso: ci logoriamo a poco a poco e ogni giorno ci toglie un po' 
delle nostre forze." C'è una conclusione migliore che scivolare verso la 
propria fine perché il fisico si dissolve naturalmente? Non che un attacco 
e un decesso improvviso siano un male, ma è dolce questo modo di essere 
portati via a poco a poco. Come se si avvicinasse la prova e giungesse il 
giorno fatale che dovrà giudicare di tutti i miei anni, mi osservo e dico 
a me stesso: 5 "Fino a oggi non è niente quello che ho dimostrato a fatti 
o a parole; l'animo ha dato pegni fallaci e di poco conto, avviluppati in 
mille ornamenti esteriori: alla morte mi affiderò per giudicare i miei 
progressi. Con coraggio mi preparo a quel giorno in cui, deposto ogni 
artificio e ogni inganno, giudicherò di me stesso: se sono forte a parole 
o nell'intimo; se furono simulazione e farsa le parole sprezzanti 
scagliate contro la sorte. 6 Lascia da parte i giudizi degli uomini: sono 
sempre incerti e ambigui. Lascia da parte gli studi fatti durante tutta la 
vita: ti giudicherà la morte. La vera forza d'animo non la mettono in luce 
le dispute filosofiche e le conversazioni letterarie, le parole raccolte 
dall'insegnamento dei saggi e i discorsi eruditi: anche gli uomini più 
vili sono capaci di parole coraggiose. Quanto hai fatto sarà evidente solo 
in punto di morte. Accetto questa condizione, non temo il giudizio." 7 
Così dico a me stesso, ma è come se parlassi anche con te. Tu sei più 
giovane: che importa? Gli anni non contano. Non puoi sapere dove ti 
attenda la morte; perciò aspettala dovunque.
8 Volevo ormai finire e già mi accingevo a concludere, ma devo preparare 
il denaro e darlo come viatico a questa lettera. Non ti dico da chi 
prenderò il prestito: tu sai a quale forziere ricorro. Aspetta ancòra un 
poco ed effettuerò il pagamento con i miei averi; intanto mi farà un 
prestito Epicuro; scrive: "Pensa alla morte." Oppure, se così il senso è 
più chiaro: "È cosa egregia imparare a morire." 9 Forse ritieni superfluo 
imparare una cosa di cui dobbiamo servirci una volta sola. Proprio per 
questo motivo si deve pensare alla morte: bisogna sempre imparare ciò che 
non possiamo esser certi di conoscere bene. 10 "Pensa alla morte": chi 
dice queste parole ci esorta a riflettere sulla libertà. Chi ha imparato a 
morire, ha disimparato a essere schiavo: è superiore a ogni umana potenza 
o, almeno, ne è al di fuori. Che gli importa del carcere, delle guardie, 
delle catene? Ha sempre la porta aperta. Una sola è la catena che ci 
vincola, l'amore per la vita: non dobbiamo soffocarlo, ma ridurlo, così 
che, se le circostanze lo richiedono, niente ci trattenga, né ci impedisca 
di essere pronti a compiere subito un passo che presto o tardi bisogna 
compiere. Stammi bene.


>> Lettera 27

1 "Tu mi dai consigli?" potresti dire. "Li hai già dati a te stesso, ti 
sei corretto? Perciò ti dedichi a correggere gli altri?" Non sono così 
impudente da volere assumermi, io malato, la cura del prossimo; ma come se 
mi trovassi nel medesimo ospedale, ti parlo della comune malattia e divido 
con te le medicine. Perciò ascoltami come se parlassi con me stesso. Ti 
faccio entrare nel segreto della mia anima e davanti a te mi giudico. 2 
Grido a me stesso: "Conta i tuoi anni e ti vergognerai di avere i medesimi 
desideri di quando eri fanciullo, di cercare le medesime cose. Si avvicina 
il giorno della morte, garantisciti che i tuoi vizi muoiano prima di te. 
Allontana questi torbidi piaceri, che devi scontare a caro prezzo: non 
nuocciono solo quelli futuri, ma anche quelli passati. Anche se i delitti 
non sono scoperti, rimane sempre il rimorso, così il pentimento che nasce 
dai piaceri disonesti non finisce con loro. Non sono reali, né costanti; 
se pure non danneggiano, svaniscono. 3 Cerca piuttosto un bene duraturo; 
ma è duraturo solo quel bene che l'animo trova in sé. Soltanto la virtù 
procura una gioia stabile e sicura; anche se c'è un ostacolo, fa' come le 
nubi, che si frappongono, ma non vincono mai la luce del giorno." 4 Quando 
si potrà raggiungere questa gioia? Finora non siamo rimasti inoperosi, 
dobbiamo, però affrettarci. Resta ancora molto lavoro ed è necessario che 
vigili, che fatichi proprio tu, se vuoi portarlo a termine; in altri tipi 
di studio si può ricevere un aiuto, qui non sono ammesse deleghe. 5 Ai 
miei tempi viveva Calvisio Sabino, un riccone, che aveva patrimonio e 
indole da liberto; non ho mai visto un uomo agiato in modo più indecente. 
Costui aveva una memoria così debole che dimenticava il nome di Ulisse, di 
Achille, o di Priamo: eppure li conosceva bene quanto noi conosciamo i 
nostri maestri. Nessun vecchio schiavo nomenclatore, il quale anziché 
riferire i nomi esatti, li inventi di sana pianta, ha mai salutato i 
cittadini confondendoli tanto quanto lui confondeva i Troiani e gli Achei. 
6 E tuttavia voleva apparire erudito. Escogitò perciò questo espediente: 
spese una grande somma per comprare dei servi: uno che ricordasse a 
memoria Omero, un altro Esiodo; assegnò inoltre uno schiavo a ciascuno dei 
nove lirici. Non c'è da stupirsi che avesse speso tanto: non avendone 
trovati già istruiti, pagò per farli preparare. Dopo essersi procurato 
questa servitù, cominciò a molestare i suoi ospiti. Teneva ai suoi piedi 
questi schiavi e a essi di volta in volta chiedeva i versi da recitare, e 
tuttavia spesso si interrompeva a metà di una parola. 7 Satellio Quadrato, 
uno sfruttatore di ricchi insensati, e di conseguenza adulatore e, 
caratteristica legata a queste due, schernitore, gli consigliò di assumere 
dei letterati per raccattare gli avanzi della mensa. Quando Sabino disse 
che ogni servo gli costava centomila sesterzi, ribatté: "A minor prezzo 
avresti comprato altrettante casse di libri." Egli, tuttavia, riteneva di 
saperne più di qualunque altro in casa sua. 8 Questo stesso Satellio 
cominciò a incitarlo a praticare la lotta, benché fosse malato, pallido e 
gracile. E quando Sabino gli rispose: "E in che modo potrei farlo? A 
stento mi reggo in piedi." "Non dire così, ti prego," gli disse, "non vedi 
quanti servi forti hai?" La saggezza non si prende in prestito, e nemmeno 
si compra; e ritengo che se anche fosse in vendita, non si troverebbero 
compratori: la stupidità, invece, si compra quotidianamente.
9 Ma prendi ormai quanto ti devo e arrivederci. "La povertà regolata 
secondo le leggi della natura è ricchezza." Lo dice spesso Epicuro ora in 
un modo, ora nell'altro, ma non si ripete mai troppo quello che non si 
impara mai abbastanza; a qualcuno bisogna indicare i rimedi, ad altri 
bisogna inculcarli. Stammi bene.


>> Lettera 28

1 Pensi che sia capitato solo a te e ti stupisci come di un fatto 
inaudito, perché, pur avendo viaggiato a lungo e in tanti posti diversi, 
non ti sei scrollato di dosso la tua tristezza e il tuo malessere 
spirituale? Devi cambiare animo, non cielo. Attraversa pure il mare, 
lascia, come dice il nostro Virgilio, che
Scompaiano terre e città, all'orizzonte,
i tuoi vizi ti seguiranno dovunque andrai. 2 Socrate, a un tale che si 
lagnava per la stessa ragione, disse: "Perché ti stupisci se viaggiare non 
ti serve? Porti in giro te stesso. Ti perseguitano i medesimi motivi che 
ti hanno fatto fuggire". A che possono giovare nuove terre? A che la 
conoscenza di città e posti diversi? Tutto questo agitarsi è vano. Chiedi 
perché questa fuga non ti sia di aiuto? Tu fuggi con te stesso. Deponi il 
peso dell'anima: prima di allora non ti andrà a genio nessun luogo. 3 
Pensa che la tua condizione è simile a quella che il nostro Virgilio 
rappresenta nella profetessa esaltata, spronata e invasata da uno spirito 
non suo:
La profetessa si dimena tentando di scacciare il dio dalla sua anima.
Vai di qua e di là per scuoterti di dosso il peso che ti opprime e che 
diventa più gravoso proprio per questa tua agitazione; così in una nave il 
carico stabile grava di meno, mentre, se è sballottato qua e là in maniera 
diseguale, fa affondare il fianco su cui pesa. Qualunque cosa fai, si 
risolve in un danno per te e gli stessi continui spostamenti ti nuocciono: 
tu muovi un ammalato. 4 Ma quando avrai rimosso questo male, ogni 
cambiamento di sede diventerà piacevole. Anche se verrai esiliato in terre 
lontanissime o sarai trasferito in un qualsiasi paese barbaro, quel posto, 
comunque sia, ti sembrerà ospitale. Conta più lo stato d'animo che il 
luogo dove arrivi, perciò l'animo non va reso schiavo di nessun posto. 
Bisogna vivere con questa convinzione: non sono nato per un solo 
cantuccio, la mia patria è il mondo intero. 5 Se ti fosse chiaro questo 
concetto, non ti stupiresti che non ti serva a niente cambiare 
continuamente regione, perché sei stanco delle precedenti; ti sarebbe 
piaciuta già la prima, se le considerassi tutte come tue. Ora non viaggi, 
vai errando e ti lasci condurre e ti sposti da un luogo a un altro, mentre 
quello che cerchi, vivere serenamente, si trova dovunque. 6 C'è forse un 
posto più turbolento del foro? Anche qui, se è necessario, si può vivere 
tranquilli. Ma se potessimo decidere di noi stessi, fuggirei lontano anche 
dalla vista e dalla vicinanza del foro; come i luoghi insalubri minano 
anche una salute di ferro, così per uno spirito sano, ma non ancora 
perfetto e vigoroso, ci sono posti malsani. 7 Non sono d'accordo con 
quelli che si spingono in mezzo alle onde e prediligono una vita agitata e 
lottano ogni giorno animosamente con mille difficoltà. Il saggio dovrà 
sopportarle, non andarsele a cercare, e preferire la tranquillità alla 
lotta; non giova a molto essersi liberati dai propri vizi per poi 
combattere con quelli degli altri. 8 "Trenta tiranni," ribatti, "fecero 
pressione su Socrate, ma non poterono fiaccarne lo spirito." Che importa 
quanti siano i padroni? La schiavitù è una sola; se uno la disprezza, per 
quanti padroni abbia, è libero.
9 È tempo di finire, purché prima io paghi il pedaggio. "Aver coscienza 
delle proprie colpe è il primo passo verso la salvezza." A me pare che 
Epicuro abbia espresso un concetto molto giusto: se uno non sa di 
sbagliare, non vuole correggersi; devi coglierti in fallo, prima di 
correggerti. 10 Certi si gloriano dei propri vizi: e tu pensi che cerchi 
un rimedio chi considera virtù i suoi vizi? Perciò per quanto puoi, 
accùsati, fa' un esame di coscienza; assumi prima il ruolo di accusatore, 
poi di giudice, da ultimo quello di intercessore; e talvolta punisciti. 
Stammi bene.


>> Lettera 29

1 Mi chiedi notizie del nostro Marcellino e vuoi sapere che fa. Viene di 
rado a trovarmi, unicamente perché teme di sentirsi dire la verità; ma non 
corre questo pericolo; la verità bisogna dirla solo a chi è disposto ad 
ascoltarla. Perciò in genere ci si chiede se fosse giusto il comportamento 
di Diogene e degli altri Cinici che usavano una libertà indiscriminata e 
ammonivano chiunque capitasse a tiro. Che giova rimproverare le persone 
sorde o mute per natura o per malattia? 2 "Ma perché", ribatti, "dovrei 
risparmiare le parole? Non costano niente. Non posso sapere se gioverò 
all'individuo che ammonisco: so, però che se ammonisco molti potrò essere 
utile a qualcuno. Bisogna sempre tendere la mano: chi fa molti tentativi, 
prima o poi riesce a qualcosa." 3 Non credo, Lucilio mio, che un grande 
uomo debba agire così: la sua autorità diminuisce e non ha sufficiente 
peso su coloro che potrebbe correggere se fosse meno svilita. L'arciere 
non deve colpire il bersaglio di quando in quando, ma deve sbagliare solo 
di quando in quando; non è un'arte quella che arriva allo scopo per caso. 
La saggezza è un'arte: miri al sicuro, scelga chi può fare progressi, si 
allontani da quelli su cui non ha speranze, e tuttavia non rinunci sùbito 
e, anche in casi disperati, tenti rimedi estremi.
4 Ancora non dispero del nostro Marcellino; ancora si può salvare, purché 
gli si tenda sùbito la mano. C'è, però il pericolo che trascini con sé chi 
gliela porge; ha una grande forza d'ingegno, ma già rivolta al male. 
Correrò tuttavia, questo pericolo e mi arrischierò a mostrargli i suoi 
vizi. 5 Farà come al solito: ricorrerà a quelle facezie che riescono a far 
ridere anche chi sta piangendo e scherzerà dapprima su di sé, poi su di 
noi; anticiperà tutto quello che intendo dirgli. Frugherà nelle nostre 
scuole e rinfaccerà ai filosofi le elargizioni ricevute, le amanti, la 
ghiottoneria. 6 Mi mostrerà che uno ha commesso adulterio, un altro si è 
dato al bere, un terzo è a corte; mi segnalerà l'arguto filosofo Aristone, 
che dissertava di filosofia in lettiga - aveva scelto questo momento per 
svolgere il suo lavoro. Scauro, interrogato sulla sua setta di 
appartenenza, rispose: "Certo non è un peripatetico"; e Giulio Grecino, 
uomo insigne, cui fu chiesto cosa ne pensasse, disse: "Non posso 
risponderti perché non so come se la cavi a piedi", quasi gli avessero 
domandato un parere su un gladiatore che combatte dal carro. 7 Marcellino 
mi getterà in faccia questi ciarlatani che sarebbero stati più onesti se 
quella filosofia di cui fanno mercato l'avessero tralasciata. Ho, però 
deciso di sopportare le sue ingiurie: mi faccia pure ridere, io forse lo 
farò piangere, oppure, se continuerà a ridere, ne sarò contento, come si 
può esserlo di un male: almeno gli è capitato un genere di pazzia ilare. 
Ma questa ilarità non può durare a lungo: facci caso, vedrai le medesime 
persone ridere sfrenatamente e sfrenatamente andare in collera in breve 
tempo. 8 È mia intenzione avvicinarlo e mostrargli quanto varrebbe di più 
se valesse meno agli occhi della massa. Anche se non riuscirò a estirpare 
i suoi vizi, vi metterò un freno; non scompariranno del tutto, ma almeno 
cesseranno a intervalli; e forse potranno addirittura scomparire, se gli 
intervalli diventeranno un'abitudine. Non è un risultato da disdegnare: 
per gli ammalati gravi una pausa della malattia è quasi una guarigione.
9 Mentre io mi preparo a curarmi di lui, frattanto, tu che puoi, che sai 
da che cosa ti sei tirato fuori e quindi sei in grado di capire dove 
potrai arrivare, regola le tue abitudini, innalza lo spirito, stai saldo 
contro ciò che temi; non metterti a considerare quanti ti fanno paura. Se 
uno temesse la folla in un punto dove può passare solo una persona per 
volta non sembrerebbe stupido? Ugualmente non sono molti a poterti dare la 
morte, anche se molti te la minacciano. È una legge di natura: una sola 
persona ti ha dato la vita, una sola te la toglierà.
10 Se avessi un po' di rispetto, mi avresti condonato l'ultima rata; ma 
neppure io, arrivato alla fine dei miei debiti, voglio comportarmi da 
avaro e ti darò per forza quanto ti devo. "Non ho mai voluto piacere al 
popolo: il popolo non apprezza le cose che io so, e io non so le cose che 
apprezza il popolo." 11 "Chi ha scritto questa frase?" chiedi, come se non 
sapessi a chi do l'ordine di pagare. Epicuro; ma questo stesso concetto te 
lo esprimeranno a gran voce tutti insieme i filosofi di ogni scuola, 
peripatetici, accademici, stoici, cinici: se uno ama la virtù, come può 
piacere al popolo? Il favore popolare si ottiene con mezzi loschi. Devi 
renderti simile a loro: non ti apprezzeranno, se non ti riconosceranno 
uguale. Ma l'opinione che hai di te stesso è molto più importante 
dell'opinione altrui; solo con sistemi disonesti ci si può accattivare il 
favore dei disonesti. 12 Che cosa, dunque, ti potrà insegnare quella 
filosofia tanto lodata e preferibile a tutte le arti e a tutti i beni? 
Naturalmente a voler piacere a te stesso più che al popolo, a valutare i 
giudizi, ma non in base al numero, a vivere senza paura degli dèi e degli 
uomini, a vincere i mali o a mettervi un limite. Ma se vedrò che sei 
famoso per i giudizi favorevoli del popolo, se al tuo ingresso 
risuoneranno grida e applausi, onori da pantomimi, se in tutta la città 
faranno le tue lodi donne e ragazzi, perché non dovrei avere compassione 
di te? So qual è la strada che porta a questo genere di favore. Stammi 
bene. 

Não ser somente uma fotografia numa prateleira

Não ser somente uma fotografia numa prateleira