AI MARGINI DELL'ETRURIA 3
Questa configurazione mostra inequivocabilmente che il Casentino fu il nucleo economico e culturale dell'antica nazione etrusca, nient'affatto un'area marginale o esterna all’Etruria, come si é a lungo affermato. La vocazione eminentemente pastorale della Toscana spiega la sua relativamente bassa densità demografica, è quindi l'ambito pastorale che costituisce la radice prima della formazione della regione come area economica e culturale.Era questa, attorno al Monte Falterona, e l'adiacente versante adriatico, la residenza estiva di una civiltà pendolare la cui residenza invernale eran le basse colline della costa tirrenica tra le foci dell’Arno e quella del Tevere. Quest'area di alti pascoli estivi, ma non adatta climaticamente alla pecora,potrebbe aver fatto parte, come asseriscono alcuni autori classici, del territorio dei Liguri; la presenza, in epoca storica, di elementi etnografici significativi ne ascriverebbero l’appartenenza all'area ligure. La presenza solo in quest'area di alcuni peculiari manufatti, assieme a numerosi altri dati di carattere linguistico, favoriscono questo assunto. La treggia, ad esempio, una slitta usata dai contadini per il trasporto di concime, prodotti e foraggi dai campi alla casa, era distribuita in un'area che partendo dalla Valmozzola (Parma) terminava nell'area delle sorgenti del Tevere (G. Caselli, La Treggia, 1976). Tuttavia non vi è alcuna traccia archeologica di una presenza ligure nel Casentino, anche perché non è possibile sapere cosa sia o non sia classificabile come “ligure”. Dal punto di vista antropologico si potrebbe postulare un Pratomagno ligure e un Appennino umbro, ma viene da chiedersi perché allora tutti i toponimi antichi di quest’area sono etruschi e neanche uno ligure o umbro. I dati etnografici potrebbero convalidare la supposizione che le parti più elevate attorno al al Pratomagno fossero, nella protostoria, abitate da popolazioni liguri o non etrusche, essenzialmente dedite alla pastorizia, mentre la bassa collina e il fondovalle ed il Monte Falterona con l’Appennino fino al Monte Fumaiolo, sarebbero stati popolati da agricoltori etruschi od umbri. La presenza attuale di segnali etnografici quali aratri e capanne di tipo ligure in Pratomagno e di tipo adriatico e balcanico nelle aree più basse e nell’Appennino, favorirebbero questa supposizione, ma è scientificamente corretto prendere dati attuali per dimostrare una presunta etnicità di tremila anni fa?.
La viabilità antica del Casentino era costituita dai crinali e dai contrafforti che dal Pratomagno e dall'Appennino giungono sul fondovalle presso l'Arno; laddove due crinali si confrontano sulle opposte rive del fiume si svilupparono guadi e poi ponti. Deve esser trascorso molto tempo, prima che si sviluppasse la strada lungo la sponda sinistra dell'Arno, ciò non deve essere accaduto prima dell'era ellenistica, altrimenti non troverebbe giustificazione il confine linguistico e diocesano che taglia la valle trasversalmente. La viabilità principale del Casentino etrusco deve essere stata a lungo quella articolata lungo i crinali primari -Pratomagno e Appennino- e lungo i controcrinali trasversali alla valle, che in epoca protostorica non era percepita affatto come valle. E' assai probabile che una via importante collegasse Bibbiena all'area di Sàrsina e che l'antica via del Passo di Serra per la Romagna, ne ricalchi il percorso originario. Ad ovest dell'Arno, questa direttrice doveva far capo a Terrossola (Bibbiena), quindi per il crinale che lì termina, doveva salire a Poggio Civitella e sul Pratomagno, per discendere nel Valdarno, raggiungere il Chianti ed infine la costa tirrenica. Fu nel periodo di formazione etnica dell'Italia antica che si consolidò quel ciclo migratorio stagionale definito transumanza. Nonostante la scarsità di documenti scritti, questo fenomeno condizionò la vita del Casentino attraverso i millenni, fino all’altro giorno. Si é congetturato, erroneamente, che la transumanza fosse un relitto del nomadismo, è invece vero il contrario, è il nomadismo tout court che deriva da quella economia semi-nomade caratterizzata dalla transumanza. Il nomadismo asiatico è relativamente recente, in termini di millenni. (Turri- Forde etc.)
Ma cosa è la transumanza? Transumare significa spostarsi da un luogo a un altro (letteralmente 'cambiar terra'), ma c'è ben più di questo. Nella stessa struttura dell'economia transumante si trova la risposta al quesito se essa sia stata praticata o no e su che scala nel Neolitico come nel Medioevo, laddove mancano documentazioni esplicite.
La transumanza è una delle strategie economiche adottate dall'uomo agricoltore ed allevatore per lo sfruttamento delle aree montuose o marginali, meno adatte alla coltivazione. Se i reperti archeologici trovati ad alta quota non sempre appartengono a pastori transumanti, essi indicano sicuramente presenze e attività stagionali. L'etno-archeologia va dimostrando che qualsiasi tipo di sfruttamento della montagna è, di regola, profondamente integrato con l'economia agricola delle quote più basse. Per quanto concerne l'Appennino o il Prato-magno, vediamo come i pastori che fruivano dei pascoli alti provenissero dai villaggi a quote più basse e non abitassero l'alta montagna. Ciò era ancor più vero nell'antichità classica e anche se rimane difficile stabilire questa regola per il Neolitico, basandosi esclusivamente sui reperti archeologici, non esistono argomenti validi per sostenere il contrario.
Anche per il Medioevo rimane difficile stabilire cosa effettivamente accadesse mediante i soli dati archeologici, in mancanza di precise fonti testuali statistiche. Tuttavia, se esistono documenti notarili concernenti l'agricoltura e la proprietà terriera, e non vi sono altrettanto numerosi documenti che menzionano la pastorizia, non è detto che questa fosse, nella realtà, meno significativa della prima né, tanto meno, inesistente. Il silenzio dei documenti non costituisce prova. Il problema della pratica o meno della transumanza in una regione o nell'altra, in un periodo o l'altro, è stato, a parer mio, risolto dal ragionamento logico. Laddove esistevano considerevoli greggi di pecore ed altri erbivori, esisteva per forza anche la transumanza a lunga portata. Laddove le pecore esistevano in numero ridotto, poteva non esserci necessità di transumanza, poiché foglie di pioppo, ontano, e fieno, potevano raccogliersi in estate e conservarsi in capanne apposite in quantità sufficienti da durare tutto un inverno.
Graeme Barker, Disney Professor of Archaeology; Head of Department of Archaeology; Director of the McDonald Institute for Archaeological Research; Professorial Fellow, St John's College, Cambridge; FBA, FSA, MIFA, e negli anni 1980 direttore della British School a Roma, osservò sin dagli anni '70, che la quantità annuale di piogge in Italia centrale varia dai 500 ai 3,000mm secondo l'altitudine, e il clima è caratterizzato da estati calde e particolarmente aride in pianura. L'aridità estiva è quindi il fattore limitante, e questa si manifesta soprattutto in pianura dove considerevoli differenze climatiche possono esistere in zone anche vicine tra loro.
E' il clima stesso che causa l'intermittenza stagionale delle risorse che in ogni dato luogo sono presenti o migliori in un certo periodo dell'anno piuttosto che in un altro. Nei pascoli dell'Appennino e del Pratomagno verso i 1.500 – 1.300 metri, ma anche ad altitudini assai inferiori in certi casi, il pascolo è disponibile dal maggio ai primi di ottobre. Vale a dire da subito dopo lo scioglimento della neve alle prime nevicate dell'inverno successivo. Per contro, il pascolo è disponibile in Maremma dalla fine di settembre a metà maggio. Vale a dire dalle prime piogge che fanno crescere l'erba alla stagione arida che la fa seccare completamente.
Il pascolo stagionale elimina inoltre altri fattori negativi presenti nello sfruttamento delle zone basse, dei quali sarebbe superfluo parlare estesamente in questa sede. Diremo che in estate il fabbisogno giornaliero di acqua per una pecora sale fino ai 5 litri e supplire a questa necessità può essere difficoltoso nei mesi più caldi. Inoltre l'eccessivo sfruttamento di un pascolo povero causa nella pecora una deficienza di vitamina A, la sola vitamina vitale per il metabolismo dell'animale. In risposta a questo condizionamento ambientale, uomini e pecore, assieme, hanno adottato la transumanza. La transumanza ha quindi lo scopo di far pascolare le greggi in pianura nell'inverno, e in montagna d'estate, non solo per avere sempre erba verde a disposizione, ma anche perché altrimenti gli animali soffrirebbero fatalmente di deficienze vitaminiche. L'economia e la vita del Casentino antico e in gran parte anche moderno, sono state condizionate da questo fenomeno. Pochi sembrano sapere che dopo un periodo di crisi durante le invasioni barbariche, l'allevamento ovino, nell'Europa occidentale in generale, ha subito un fortissimo incremento a partire dall'epoca dell'insediamento gotico e longobardo. Dal VI - VII secolo in poi, centinaia di migliaia di pastori centro asiatici (soprattutto Alani) sono emigrati verso ovest insediandosi nel Balcani, lungo l'Appennino, in Sardegna, nel sud della Francia, in Spagna e Portogallo, come attestato sia da numerose fonti scritte, sia dall'evidenza etnografica e toponomastica.
Questa configurazione mostra inequivocabilmente che il Casentino fu il nucleo economico e culturale dell'antica nazione etrusca, nient'affatto un'area marginale o esterna all’Etruria, come si é a lungo affermato. La vocazione eminentemente pastorale della Toscana spiega la sua relativamente bassa densità demografica, è quindi l'ambito pastorale che costituisce la radice prima della formazione della regione come area economica e culturale.Era questa, attorno al Monte Falterona, e l'adiacente versante adriatico, la residenza estiva di una civiltà pendolare la cui residenza invernale eran le basse colline della costa tirrenica tra le foci dell’Arno e quella del Tevere. Quest'area di alti pascoli estivi, ma non adatta climaticamente alla pecora,potrebbe aver fatto parte, come asseriscono alcuni autori classici, del territorio dei Liguri; la presenza, in epoca storica, di elementi etnografici significativi ne ascriverebbero l’appartenenza all'area ligure. La presenza solo in quest'area di alcuni peculiari manufatti, assieme a numerosi altri dati di carattere linguistico, favoriscono questo assunto. La treggia, ad esempio, una slitta usata dai contadini per il trasporto di concime, prodotti e foraggi dai campi alla casa, era distribuita in un'area che partendo dalla Valmozzola (Parma) terminava nell'area delle sorgenti del Tevere (G. Caselli, La Treggia, 1976). Tuttavia non vi è alcuna traccia archeologica di una presenza ligure nel Casentino, anche perché non è possibile sapere cosa sia o non sia classificabile come “ligure”. Dal punto di vista antropologico si potrebbe postulare un Pratomagno ligure e un Appennino umbro, ma viene da chiedersi perché allora tutti i toponimi antichi di quest’area sono etruschi e neanche uno ligure o umbro. I dati etnografici potrebbero convalidare la supposizione che le parti più elevate attorno al al Pratomagno fossero, nella protostoria, abitate da popolazioni liguri o non etrusche, essenzialmente dedite alla pastorizia, mentre la bassa collina e il fondovalle ed il Monte Falterona con l’Appennino fino al Monte Fumaiolo, sarebbero stati popolati da agricoltori etruschi od umbri. La presenza attuale di segnali etnografici quali aratri e capanne di tipo ligure in Pratomagno e di tipo adriatico e balcanico nelle aree più basse e nell’Appennino, favorirebbero questa supposizione, ma è scientificamente corretto prendere dati attuali per dimostrare una presunta etnicità di tremila anni fa?.
La viabilità antica del Casentino era costituita dai crinali e dai contrafforti che dal Pratomagno e dall'Appennino giungono sul fondovalle presso l'Arno; laddove due crinali si confrontano sulle opposte rive del fiume si svilupparono guadi e poi ponti. Deve esser trascorso molto tempo, prima che si sviluppasse la strada lungo la sponda sinistra dell'Arno, ciò non deve essere accaduto prima dell'era ellenistica, altrimenti non troverebbe giustificazione il confine linguistico e diocesano che taglia la valle trasversalmente. La viabilità principale del Casentino etrusco deve essere stata a lungo quella articolata lungo i crinali primari -Pratomagno e Appennino- e lungo i controcrinali trasversali alla valle, che in epoca protostorica non era percepita affatto come valle. E' assai probabile che una via importante collegasse Bibbiena all'area di Sàrsina e che l'antica via del Passo di Serra per la Romagna, ne ricalchi il percorso originario. Ad ovest dell'Arno, questa direttrice doveva far capo a Terrossola (Bibbiena), quindi per il crinale che lì termina, doveva salire a Poggio Civitella e sul Pratomagno, per discendere nel Valdarno, raggiungere il Chianti ed infine la costa tirrenica. Fu nel periodo di formazione etnica dell'Italia antica che si consolidò quel ciclo migratorio stagionale definito transumanza. Nonostante la scarsità di documenti scritti, questo fenomeno condizionò la vita del Casentino attraverso i millenni, fino all’altro giorno. Si é congetturato, erroneamente, che la transumanza fosse un relitto del nomadismo, è invece vero il contrario, è il nomadismo tout court che deriva da quella economia semi-nomade caratterizzata dalla transumanza. Il nomadismo asiatico è relativamente recente, in termini di millenni. (Turri- Forde etc.)
Ma cosa è la transumanza? Transumare significa spostarsi da un luogo a un altro (letteralmente 'cambiar terra'), ma c'è ben più di questo. Nella stessa struttura dell'economia transumante si trova la risposta al quesito se essa sia stata praticata o no e su che scala nel Neolitico come nel Medioevo, laddove mancano documentazioni esplicite.
La transumanza è una delle strategie economiche adottate dall'uomo agricoltore ed allevatore per lo sfruttamento delle aree montuose o marginali, meno adatte alla coltivazione. Se i reperti archeologici trovati ad alta quota non sempre appartengono a pastori transumanti, essi indicano sicuramente presenze e attività stagionali. L'etno-archeologia va dimostrando che qualsiasi tipo di sfruttamento della montagna è, di regola, profondamente integrato con l'economia agricola delle quote più basse. Per quanto concerne l'Appennino o il Prato-magno, vediamo come i pastori che fruivano dei pascoli alti provenissero dai villaggi a quote più basse e non abitassero l'alta montagna. Ciò era ancor più vero nell'antichità classica e anche se rimane difficile stabilire questa regola per il Neolitico, basandosi esclusivamente sui reperti archeologici, non esistono argomenti validi per sostenere il contrario.
Anche per il Medioevo rimane difficile stabilire cosa effettivamente accadesse mediante i soli dati archeologici, in mancanza di precise fonti testuali statistiche. Tuttavia, se esistono documenti notarili concernenti l'agricoltura e la proprietà terriera, e non vi sono altrettanto numerosi documenti che menzionano la pastorizia, non è detto che questa fosse, nella realtà, meno significativa della prima né, tanto meno, inesistente. Il silenzio dei documenti non costituisce prova. Il problema della pratica o meno della transumanza in una regione o nell'altra, in un periodo o l'altro, è stato, a parer mio, risolto dal ragionamento logico. Laddove esistevano considerevoli greggi di pecore ed altri erbivori, esisteva per forza anche la transumanza a lunga portata. Laddove le pecore esistevano in numero ridotto, poteva non esserci necessità di transumanza, poiché foglie di pioppo, ontano, e fieno, potevano raccogliersi in estate e conservarsi in capanne apposite in quantità sufficienti da durare tutto un inverno.
Graeme Barker, Disney Professor of Archaeology; Head of Department of Archaeology; Director of the McDonald Institute for Archaeological Research; Professorial Fellow, St John's College, Cambridge; FBA, FSA, MIFA, e negli anni 1980 direttore della British School a Roma, osservò sin dagli anni '70, che la quantità annuale di piogge in Italia centrale varia dai 500 ai 3,000mm secondo l'altitudine, e il clima è caratterizzato da estati calde e particolarmente aride in pianura. L'aridità estiva è quindi il fattore limitante, e questa si manifesta soprattutto in pianura dove considerevoli differenze climatiche possono esistere in zone anche vicine tra loro.
E' il clima stesso che causa l'intermittenza stagionale delle risorse che in ogni dato luogo sono presenti o migliori in un certo periodo dell'anno piuttosto che in un altro. Nei pascoli dell'Appennino e del Pratomagno verso i 1.500 – 1.300 metri, ma anche ad altitudini assai inferiori in certi casi, il pascolo è disponibile dal maggio ai primi di ottobre. Vale a dire da subito dopo lo scioglimento della neve alle prime nevicate dell'inverno successivo. Per contro, il pascolo è disponibile in Maremma dalla fine di settembre a metà maggio. Vale a dire dalle prime piogge che fanno crescere l'erba alla stagione arida che la fa seccare completamente.
Il pascolo stagionale elimina inoltre altri fattori negativi presenti nello sfruttamento delle zone basse, dei quali sarebbe superfluo parlare estesamente in questa sede. Diremo che in estate il fabbisogno giornaliero di acqua per una pecora sale fino ai 5 litri e supplire a questa necessità può essere difficoltoso nei mesi più caldi. Inoltre l'eccessivo sfruttamento di un pascolo povero causa nella pecora una deficienza di vitamina A, la sola vitamina vitale per il metabolismo dell'animale. In risposta a questo condizionamento ambientale, uomini e pecore, assieme, hanno adottato la transumanza. La transumanza ha quindi lo scopo di far pascolare le greggi in pianura nell'inverno, e in montagna d'estate, non solo per avere sempre erba verde a disposizione, ma anche perché altrimenti gli animali soffrirebbero fatalmente di deficienze vitaminiche. L'economia e la vita del Casentino antico e in gran parte anche moderno, sono state condizionate da questo fenomeno. Pochi sembrano sapere che dopo un periodo di crisi durante le invasioni barbariche, l'allevamento ovino, nell'Europa occidentale in generale, ha subito un fortissimo incremento a partire dall'epoca dell'insediamento gotico e longobardo. Dal VI - VII secolo in poi, centinaia di migliaia di pastori centro asiatici (soprattutto Alani) sono emigrati verso ovest insediandosi nel Balcani, lungo l'Appennino, in Sardegna, nel sud della Francia, in Spagna e Portogallo, come attestato sia da numerose fonti scritte, sia dall'evidenza etnografica e toponomastica.